MAGNESIO, EFFETTI ED UTILIZZO

Il magnesio è un macroelemento, cioè uno dei minerali presenti nell’organismo in quantità più elevate.
In genere in un adulto ne sono presenti tra i 20 e i 28 grammi, il 50-60% dei quali è concentrato nelle ossa, il 39% nei tessuti molli e solo l’1% nel sangue.
È considerata normale una concentrazione di magnesio compresa tra 0,75 e 0,95 mmol/L.
Si tratta di uno dei minerali più importanti per il benessere e il corretto funzionamento del nostro organismo.

Ricopre un ruolo fondamentale per numerose funzioni fisiologiche, in particolare quelle che riguardano i muscoli, il cervello, le ossa e il cuore.
Si è accertato che il Magnesio è coinvolto nell’attivazione di oltre 300 enzimi e sostanze chimiche dell’organismo. 
È inoltre un componente fondamentale nei processi cellulari che generano energia e metabolismo.

Nonostante la sua fondamentale importanza, l’organismo umano non è in grado di sintetizzare il Magnesio.
L’unica fonte di approvvigionamento di questo prezioso minerale è una una sana e corretta alimentazione.
In questo senso, l’acqua ricopre un ruolo fondamentale perché permette di assimilare circa il 10% del fabbisogno giornaliero, uno degli svariati motivi per cui è fondamentale assumere una buona quota idrica.
Peccato che anche seguendo un regime alimentare sano e variegato, il nostro organismo riesce ad assimilare circa il 30-40% del magnesio necessario a soddisfare tutte le esigenze fisiologiche. 

PROPRIETÀ

Il magnesio partecipa a molte delle reazioni che avvengono nelle cellule.
È il cofattore di più di 300 enzimi che controllano processi molto diversi fra loro, dalla sintesi delle proteine al funzionamento dei muscoli e dei nervi, fino al controllo della glicemia e della pressione sanguigna.
È necessario per la produzione di energia e per i processi di fosforilazione ossidativa e di glicolisi, partecipa allo sviluppo strutturale dell’osso ed è richiesto per la sintesi del DNA, dell’RNA e del glutatione, un importante antiossidante.
Inoltre partecipa al trasporto del calcio e del potassio attraverso le membrane cellulari, fondamentali per la trasmissione dell’impulso nervoso, la contrazione muscolare e il battito cardiaco.

-Svolge una funzione neurologica, in quanto coinvolto nella sintesi di numerosi neurotrasmettitori come dopamina, noradrenalina, melatonina e GABA. Il GABA è un neurotrasmettitore che, legandosi ai suoi recettori specifici, svolge un ruolo importante nella risposta del corpo allo stress ed è responsabile di calmare l’attività del sistema nervoso.

-Ha una funzione metabolica ed energetica, è stata individuata una stretta correlazione tra sindrome metabolica, diabete mellito di tipo 2 (DM2) e ipomagnesemia (carenza di magnesio). Anche i soggetti diabetici presentano, di solito, una carenza di questo minerale. Insieme al calcio e al sodio svolge una funzione cardiovascolare; controlla il tono muscolare delle pareti dei vasi sanguigni. 

-Regolarizza i flussi di potassio nelle cellule del miocardio, partecipa ai processi che portano alla vasodilatazione e alla riduzione dell’aggregazione piastrinica.

-Svolge un’importante funzione ossea, contribuendo alla conversione della vitamina D nella sua forma attiva ed è necessario per il legame del calcio allo smalto dei denti.

-il magnesio è un minerale che gioca un ruolo molto importante nella perdita di peso.
Se assunto durante il periodo di dieta o in qualsiasi altra circostanza, esso va ad agire direttamente sul metabolismo, riattivandolo e preservando la sua dinamicità.
Ciò permette di bruciare i grassi e le calorie più in fretta, di appagare rapidamente il senso di fame, di donare maggiore elasticità ai muscoli e, di conseguenza, di rendere più tonici i punti critici, come l’addome e i glutei.

MAGNESIO E SISTEMA NERVOSO

 Circa il 40% del Magnesio presente nel nostro organismo si trova all’interno dei muscoli, è quindi fondamentale per le tensioni muscolari e per rispondere prontamente alle fasi di stress dovute alla pratica sportiva.

Oltre al corretto funzionamento dei nervi, consente di veicolare verso le membrane cellulari il calcio e il potassio, minerali che fanno partire tutti gli impulsi nervosi.

L’assunzione di Magnesio è quindi molto importante per risultare più attivi, per avere livelli energetici migliori, per migliorare la lucidità mentale e per migliorare le proprie funzioni cognitive. 

EFFETTI COLLATERALI

Un sovradosaggio di magnesio può causare numerose controindicazioni, per cui è sempre bene consultarsi col proprio medico di fiducia. In particolare, i sintomi che possono verificarsi sono: nausea, diarrea (questo perché il corpo cerca di espellerlo), perdita dell’appetito, crampi allo stomaco, difficoltà respiratorie, confusione mentale ecc.…

Un eventuale eccesso di magnesio di origine alimentare viene in genere eliminato attraverso i reni.
Tuttavia dosi eccessive possono scatenare diarrea, a volte associata a nausea e crampi addominali. 

Sopra certi dosaggi un eccesso del minerale può anche rivelarsi tossico, però solo con dosi superiori a 5 grammi al giorno sono state associate a una tossicità che può portare ad abbassamenti della pressione, arresto della peristalsi intestinale, depressione, letargia, debolezza muscolare, difficoltà respiratorie e, nei casi più gravi, arresto cardiaco.


MAGNESIO E ALIMENTI CHE LO CONTENGO

Il magnesio è presente in quasi tutti gli alimenti, ma è particolarmente abbondante nei vegetali a foglia verde (come gli spinaci), neilegumi, nellafrutta secca, nei semi e nei cereali integrali, mentre per quanto riguarda la frutta ne sono una buona fonte le banane.
In generale, gli alimenti ricchi di fibre sono anche buone fonti di magnesio.

QUAL È IL FABBISOGNO GIORNALIERO DI MAGNESIO?

Il fabbisogno quotidiano di magnesio, però, varia notevolmente sia a seconda dell’età che del sesso.
Le dosi giornaliere raccomandate sono infatti pari a 250-450 mg per gli uomini adulti, 450-500 mg per le donne in gravidanza e 320 mg per le donne al di sopra dei vent’anni.

Se assunto come integratore, la quantità che viene in genere consigliata è di 2,4 g. 

Esso può essere assunto fino a due volte al giorno, meglio se a digiuno, sciolto in acqua calda (come se fosse un infuso).

QUALI CONSEGUENZE PUÒ DETERMINARE LA CARENZA DI MAGNESIO?

La carenza di magnesio non è comune. I soggetti più a rischio sono le persone che assumono farmaci o che soffrono di malattie che possono comprometterne l’assorbimento, come la diarrea cronica associata al morbo di Chron, la celiachia, oppure chi ha affrontato un bypass intestinale.
Nelle situazioni più gravi la carenza può portare a crampi e contrazioni muscolari, intorpidimenti, convulsioni, aritmie, spasmo delle coronarie, cambiamenti di personalità e riduzione dei livelli di calcio e di potassio nel sangue.

CONCLUSIONI

Il magnesio quindi, come abbiamo visto, risulta un grande alleato sia in ambito sportivo che non…
Utilissimo soprattutto nelle fasi di ipocalorica in cui mancano le energie, i micronutrienti che vista l’alimentazione piuttosto povera scarseggiano e soprattutto l’aiuto che dà nella perdita di adipe.
Consiglio vivamente di acquistare integratori a base di magnesio certificati e ribadisco l’importanza di scioglierli in acqua calda, in quanto se non sciolto a dovere verrà espulso dal corpo e potrebbe causare un po’ di dissenteria, effetto che talvolta viene confuso con un eccesso di magnesio e se le materie prime non sono di qualità potrebbe risultare ostica la sua dissoluzione in acqua.

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POST GARA, COME COMPORTARSI PER VIVERLO AL MEGLIO.

La fase del post gara è quel momento in cui cala il sipario, la stagione agonistica termina ed in un attimo, finito di contemplare quegli magici momenti passati sul palco ed essersi goduti un paio di giorni di relax, la nostra testa di colpo si ferma per iniziare a pensare, “ora cosa faccio?”.

Andiamo, non fate gli eroi con una volontà di ferro che subito tornano a regime senza mettere un piede fuori dai binari e dite la verità, il senso di dubbio e inquietudine assale bene o male chiunque e soprattutto chi si trova alle prime esperienze.
Quel dubbio che ti frulla in testa su come comportarti, cosa e quanto mangiare, se allenarti o riposare…

Bravo, vedo che ti stai facendo un esame di coscienza ed è capitato anche a te di sentirti “perso”, ma è tutto normale, bene o male ci si può ritrovare in uno dei seguenti scenari:

-C’è chi terminata la gara comincia a fagocitare qualsivoglia cosa di commestibile sulla faccia della terra senza un freno.

-C’è chi si prende qualche giorno di relax per poi tornare al solito regime alimentare che sente come suo.

-C’è chi spaventato dalla mancanza di regole riprende a mangiare esattamente come prima della gara pensando così di essere nella sua zona sicura.

-C’è chi finisce nel brutto circolo vizioso del “dieta-abbuffata-domani mi rimetto”, vivendo male perché inizia a sentirsi sbagliato ed in difetto.

Logicamente ad un esterno che non ha mai vissuto questo tipo di esperienze verrebbe da pensare che basterebbe godersi qualche giorno di stacco per poi tornare in carreggiata, per carità, anche il buon senso dice ciò, però non tutti riescono a comportarsi in questo modo e ci si ritrova, in un momento in cui a livello psicologico si tende ad essere molto fragili.

Facciamo un passo indietro per capire meglio, fino a tornare alla fase pre contest…
Nei mesi che precedono le competizioni si vive seguendo schemi molto rigidi e si cerca a nostra volta di essere il più rigidi possibile nella speranza di salire sul palco ed essere il/la migliore.
Allenamenti in cui ci si estrania nel proprio mondo che diventano via via più pesanti col passare del tempo, ma che si cerca comunque di svolgere al massimo delle proprie possibilità, mentre ci si sente dilaniati dalla stanchezza, fisica e mentale, la dieta in cui ci si va a privare di moltissimi alimenti riducendo le fonti ad un numero conteggiabile sulle dita di una mano.

Ecco, pensate a questo e capirete come mai ci si possa sentire così in un post gara, io stesso che in pre gara assumevo letteralmente solo 5 alimenti e avevo addirittura tolto l’avena perché i grassi derivanti da essa non sono ottimali in preparazione, finita questa stagione di gare e nella piena consapevolezza che non sarebbe stata ciò a farmi peggiore fisicamente, avevo quasi “paura” a reintrodurla.

Io cerco sempre di facilitare il compito ai miei ragazzi e di riportarli a vivere serenamente il proprio percorso rimettendosi pian piano, perché sì, purtroppo ci si ritrova talvolta a raccogliere dei ragazzi a pezzi.
Un preparatore in questi casi infatti, come io sono solito fare, dovrebbe aiutarli a tornare in carreggiata passa per passo, indirizzandoli sulla giusta via, il giusto equilibrio col cibo facendogli capire che non sono in difetto come pensano di essere, che è normale sentirsi così dopo una gara, che è normale aver voglia di qualcosa di diverso, che è normale non riuscire ad essere subito dei soldati a livello alimentare, che è normale aver voglia di staccare qualche giorno dagli allenamenti.

Il mio intervento, in linea di massima consiste nel consigliare di staccare la spina per alcuni giorni, anche una settimana se necessario ed in alcuni casi addirittura di più (ciò è condizione dipendente, più è stata estremizzata e più riposo servirà) ed in questi giorni riposo assoluto, niente dieta, conteggio dei macros e allenamento.
Lo scopo è quello di resettare totalmente l’atleta e riportarlo ad un nuovo punto di partenza in una condizione fisica e mentale tale per cui possa davvero riprendere a fare ciò che tanto ama, perché tutto quel che ho detto sopra è normale, umano…

L’atleta, una volta ricaricate le batterie tornerà a vivere il bodybuilding che tanto ama, però chiunque, me compreso, come già detto sopra, risentirà ancora delle restrizioni alimentari avute fino ad ora, o della necessità di fare tot sedute di cardio a settimana, arrivati a questo punto il mio scopo e quello che dovete fare voi, è cercare di autoimporsi di uscire da questi schemi, non stiamo più preparando una gara, è quindi finita la guerra, non sarà qualche seduta di cardio in meno a farvi peggiorare, come non lo sarà qualche alimento considerato meno ideale per la dieta a portare a questo.

Questo è ciò che ho fatto con Edoardo Stramazzo, un atleta che preparo, nonché amico, che ha gareggiato come classic physique in nbfi, dopo la gara voleva tornare subito a dieta, cadendo nel classico circolo vizioso dieta-sgarro-ripeto.
Mi sono posto nei suoi confronti consigliandogli di ascoltarsi e non farsi problemi se avesse voglia di mangiare di più e di ritornare a regime in modo graduale partendo subito da calorie decisamente più alte ed evitando reverse diet, che possono solo facilitare l’instaurarsi di questi circoli viziosi, in quanto la reverse è semplicemente un reiterare più a lungo la condizione di ipocalorica.

PER QUANTO RIGUARDA L’ALLENAMENTO INVECE?

La gestione dell’allenamento nel post gara è sempre condizione dipendente, come detto prima, più è stata estremizzata, più riposo servirà e più dovranno essere blande le sedute in sala pesi una volta ripresi.

Fatta questa premessa e facendo finta di aver fatto riposare il ragazzo abbastanza, sono solito impostare delle split con volume e frequenza relativamente basse, utilizzando sedute piuttosto semplici, sviluppate prettamente con serie con TUT FLUIDI e range di ripetizioni medie, solitamente oscillo tra le 8 e le 15 con esercizi poco impattanti sul sistema nervoso centrale in questa fase.
Questo, appunto per permettere di riassaggiare pian piano la ghisa, evitando di creare troppo impatto a livello del SNC, di riprendere i carichi, riabituarsi agli schemi motori che in futuro utilizzeremo maggiormente e soprattutto riportare dentro di loro quella voglia di sbranare i pesi in palestra.

In questa fase infatti, il fine primario non deve essere la performance o la condizione, bensì riportare l’atleta in uno stato ideale per poter rendere proficui gli allenamenti futuri, detto proprio in modo ironico, stiamo facendo riabilitazione.

CONCLUSIONI

Il post gara è un momento delicato, in cui talvolta lo sconforto può assalirci, bisogna cercare di esorcizzare queste paure, accettare e accogliere i bisogni del nostro organismo e capire che è tutto normale, una fase transitoria che però è obbligatoria per poi ritornare a prepararsi in vista delle competizioni future.
Per di più, cerchiamo di non vedere solo il lato negativo quando ci troviamo in questa situazione, ma bensì, coglierla al volo per goderci qualche sfizio culinario e gli affetti dei nostri cari, anche perché questa possibilità l’avremo nuovamente solo dopo la prossima gara.

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ACQUA E SALE, NEL BODYBUILDING COME GESTIRLI A SECONDA DELLE FASI

La gestione di acqua e sale nell’ambito culturistico gode ormai da tempo di grande notorietà oltre che i più svariati approcci, dall’abuso dall’abuso o dall’eliminazione totale di uno dei due fattori a seconda del periodo.
Molte tra queste pratiche sono ormai ampiamente sorpassate, ma talvolta dure a morire, quindi vediamo di fare chiarezza.
L’importanza della gestione di acqua e sale nel bodybuilding è dovuta ai miglioramenti che è in grado di portare all’atleta in termini di estetica e performance.
Infatti creare un equilibrio elettrolitico tra acqua, sodio e potassio permette di mantenere un’idratazione ottimale, con conseguente miglior capacità di contrazione e veicolare meglio i carboidrati nel comparto intracellulare.
Questo è dovuto al sodio contenuto nel sale che alla fine è composto da NaCL (cloruro di sodio), questo ha la funzione di trasmettitore che porta i acqua e carboidrati dentro la cellula rendendo il muscolo pià voluminoso, questo spostamento di acqua dal compartimento extra a quello intracellulare regala un aspetto più asciutto e roccioso, motivo per cui ciò assume la sua maggior rilevanza in pre gara.

COME FACCIO A SAPERE SE LA QUANTIÀ DI ACQUA E SALE SONO CORRETTE?

Prima di iniziare a giostrarsi giocando col proprio equilibrio elettrolitico bisogna capire se l’apporto di acqua è corretto ed è possibile fare ciò in autonomia controllando il colore e dall’odore delle urine.
Escluse quelle della mattina, se durante la giornata le urine risultano trasparenti (ne tendenti al giallastro, ne all’essere incolore), il quantitativo di acqua sarà adeguato.
Se così non fosse basterà aumentare gradualmente il quantitativo di acqua nei giorni fino ad arrivare al colore desiderato, ovviamente ciò può essere influenzato dalla temperatura esterna, in quanto può portare o meno a sudare ed aver bisogno di un quantitativo di liquidi maggiore.
Solitamente un quantitativo di acqua ideale è tra gli 0,6 ed il litro ogni 10kg di massa magra.
Ora che sappiamo come muoverci iniziamo a vedere come gestire sale ed acqua nelle varie fasi presenti nel bodybuilding, rispettivamente:

-bulk

-cut

-Pre gara (che sì, nonostante sia una fase di cut è ben più delicata rispetto ad un semplice cut)

Partiamo col vedere come gestirli in off season, in cui, salvo per volontà dell’atleta si può benissimo evitare di complicarsi la vita controllando solo se l’apporto idrico salino è sensato e ciò anche grazie alle urine.

SALE ED ACQUA IN BULK

In questa fase non vi è necessità particolare di essere troppo minuziosi con acqua e sale, basta assumerne una quantità adeguata o perlomeno sensata, quindi niente eccessi o viceversa, non serve spaccare il gramma, ma bisogna comunque evitare di estremizzare, anche se involontariamente da un lato o dall’altro.
Questo perché un eccesso o una carenza porterebbe a disequilibri col potassio, prendiamo per esempio un’assunzione di acqua e sale ben al di sotto delle reali necessità in una dieta in cui vi anche assunzione di
elevati quantitativi di potassio tramite alimenti di cui ne sono ricchi.
Il risultato sarà una performance peggiore, una peggior contrazione muscolare con conseguente peggioramento della composizione, o meglio, della resa estetica.
Ricordiamoci che la quantità ideale di acqua è di 0,6/un litro ogni 10kg, per essere sicuri che l’apporto sia ideale ci torna in aiuto le “tecnica” proposta sopra di controllo delle urine, già così facendo saremo sicuri di assumere una quantità, bene o male “adeguata”, di acqua.

Per quanto concerne la gestione del sale invece vale il medesimo discorso, salando normalmente (e per normalmente intendo davvero normalmente e quindi non eliminando o abusando), non vi saranno problemi.
Un modo per capire se la quantità di sale è adeguata, senza doverlo contare ovviamente è valutare la resa in allenamento, in quanto se tutti i parametri sono a posto, allora andrà sistemato il sodio.

SALE ED ACQUA IN CUT

Nella fase di deficit calorico il sale e l’acqua assumono importanza maggiore, ma ancora non di grande rilevanza quanto in una fase pre gara, nettamente più delicata, quindi possono essere sufficienti pochi semplici accorgimenti extra rispetto a quelli adottati in bulk.
Sarà sicuramente opportuno cercare di standardizzare perlomeno l’acqua in questa fase, dando tranquillamente spazio però alla cosiddetta zona di confort che avrà l’atleta.
In questa fase controllare maggiormente l’acqua basandosi su quanto detto prima, ovvero 0,6/1 litri di acqua ogni 10kg di massa magra sarà sufficiente, ovviamente ciò varia anche in funzione dello stile di vita del soggetto, sarà ben diversa la quota idrica richiesta da un muratore rispetto a quella necessaria per un soggetto sedentario.

Per il sale invece un rapporto indicativo di 1:1 con l’acqua risulterà più che sufficiente, in casi di contesti di deficit molto marcati anche appena appena più alto sarà un’ottima cosa, in quanto permettere di avere maggior pienezza e pump muscolare.

ACQUA E SALE NEL PRE GARA

Qui si inizia ad entrare nella fase “critica”, in cui sarà opportuno controllare molto meglio questi due fattori, così da poter portare la miglior forma sul palco, parliamo del mese e mezzo prima della gara.
Fase in cui la condizione per di più sarà molto vicina al risultato finale ed in cui quindi fare delle prove darà un risultato più “veritiero”.
Questi due parametri vengono gestiti allo stesso modo ma senza più grandi margini di gioco, quindi, per l’acqua ad esempio gli 0,6/1 litro di acqua ogni 10kg di massa magra citati prima, ovviamente la quantità dovrà essere concordata con l’atleta, in quanto sarà importante che questo non senta il disagio di dover bere più del dovuto e per il sale a sua volta come detto prima.
Da qui poi si faranno delle prove con variazioni del 25%/30% sul totale di sale assunto, questo sia in eccesso che in difetto per valutare come varia la condizione, personalmente in caso la condizione dell’atleta sia già strepitosa eviterei di modificare e proseguire senza variazioni.

CONCLUSIONI

La gestione maniacale di acqua e sale ha maggior importanza nel pre gara, in fase di bulk/cut sarà più che sufficiente un’assunzione adeguata evitando eccessi o difetti, così da permettere un di avere una buon resa in allenamento ed evitare stress inutili dovendo diventare dei piccoli chimici col bilancino da spacciatore.
È importante però non dimenticarsi, come già detto appunto, di dare comunque un occhio alle quantità assunte.

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POMPA SODIO-POTASSIO

La pompa sodio potassio assume connotazione di grande importanza in ambito culturistico, in quanto porta a differenze rilevanti a livello estetico per quanto concerne la condizione fisica, ma prima vediamo meglio di cosa si tratta…

Pompa sodio-potassio: É un enzima che si trova nelle membrane cellulari e svolge un ruolo di trasportatore attivo di sostanze nella cellula. Il meccanismo di trasporto è influenzato dalle concentrazioni di sodio e potassio in modo che, un’alta concentrazione del primo, porta ad un trasporto intra->extra mentre un’alta concentrazione del secondo attiva il meccanismo contrario.

Da quanto scritto sopra si evince subito il motivo per cui abbia così tanta importanza e desti interesse in questo ambito, trattandosi di una disciplina in cui una preparazione per una gara comporta mesi di maniacalità e vita da soldato per raggiungere l’apice della propria condizione fisica in quei 5 minuti sul palco, ciò diventa molto rilevante.
Si cerca di salire sul palco con l’acqua extracellulare che rasenta quasi lo zero, quindi ciò sarà un fattore da gestire al meglio per ottenere la tanto ambita condizione fisica.

CELLULA
Visto ciò che stiamo trattando, ovvero un enzima della membrana cellulare mi sembra doveroso aprire una grande parentesi in merito…
La cellula rappresenta l’unità fondamentale, strutturale e funzionale, degli organismi viventi.
È un organismo completo formato da varie parti che costituiscono un insieme organizzato e coordinato.
Parlando delle funzioni/utilità del potassio e quindi della pompa sodio potassio non ci interessa tutta la sua struttura, quindi andiamo avanti, la membrana (la stazione che stabilisce il transito delle sostanze), costituisce l’involucro più esterno, dove si trova appunto la pompa sodio-potassio.
La membrana delimita il liquido in intracellulare da quello extracellulare, preservando determinate caratteristiche.
Per determinare la comparsa di un comportamento, ogni cellula nervosa, genera in successione quattro tipi diversi di segnale: un segnale d’ingresso, un segnale integrativo; un segnale di conduzione e un segnale d’uscita.

I neuroni mantengono una differenza di potenziale di circa 65 mV, ai capi della loro membrana esterna, questo potenziale è detto potenziale di membrana di riposo.
Esso dipende da uno squilibrio nella distribuzione degli ioni sodio(Na), potassio(K), e cloro(Cl), nonché dalla permeabilità selettiva della membrana verso il K.
Questi due fattori agiscono in modo tale da rendere negativa la superficie interna della membrana della cellula rispetto a quella esterna.
Poiché il potenziale esterno della membrana viene assunto come potenziale zero, si definisce il potenziale di membrana di riposo a – 65 mV.
Questa distribuzione di ioni viene mantenuta dalla pompa sodio-potassio.

La pompa sodio-potassio, detta anche pompa Na+/K+ ATP dipendente (Na+/K+ ATPasi), è un enzima che si trova come detto nella membrana cellulare. Questo tipo di pompa ionica è il più chiaro esempio di trasporto attivo primario di sostanze attraverso la membrana plasmatica.
La pompa serve principalmente a livello fisiologico per controllare il volume cellulare, conferire alle cellule nervose e muscolari la proprietà di eccitabilità, ed è correlata al trasporto attivo di glucidi ed amminoacidi.

In generale, la pompa del sodio e del potassio pompa 3 ioni Na+ fuori dalla cellula e 2 ioni K+ all’ interno e mantiene i gradienti di concentrazione di Na+ e K+ a cavallo della membrana. Usa 1 ATP per ogni ciclo: 100 cicli/sec. Usa ¼ dell’energia per la maggior parte delle cellule, ¾ per i neuroni.

Il fenomeno dell’osmosi che immediatamente si verificherebbe in conseguenza dell’asimmetria della distribuzione delle cariche. Il lavoro di pompa è indispensabile non solo per il mantenimento del potenziale di membrana, ma per la stessa conservazione del volume della cellula. Se infatti la pompa viene bloccata con veleni metabolici o bassi livelli di O2 la cellula si rigonfia a causa della diversa tonicità dentro e fuori perché l’acqua viene richiamata al suo interno fino alla rottura della membrana. La pompa è pertanto responsabile del mantenimento dell’equilibrio osmotico cellulare.

Concludendo possiamo affermare che il potenziale di membrana è mantenuto costante per opera della pompa del sodio e del potassio che muove gli ioni contro gradiente ristabilendo continuamente i gradienti ionici. Per fare questo, la pompa utilizza continuamente energia. La costanza dei gradienti ionici, assicura che il potenziale di membrana mantenga un valore costante per l’intera durata della vita della cellula. La pompa del sodio e del potassio fornisce un continuo, costante apporto di energia. Di conseguenza ogni cellula, e in particolare la cellula nervosa, in condizioni di riposo non si trova in uno stato di equilibrio, ma piuttosto in uno “stato stazionario” (Steady State), ovvero in uno stato di costante dis-equilibrio, mantenuto a spese di energia metabolica, che è fornita dalla molecola di ATP.
Per questo motivo il nostro dispendio calorico è influenzato principalmente (60-70%) dal metabolismo basale. Perché per quanta attività sportiva facciamo (a meno di non correre 4-5h), quest’ultima consuma comunque una parte minoritaria delle energie giornaliere (20-30%), rispetto a quelle che riserviamo costantemente 24h/24h, per portare avanti i processi interni.

RITENZIONE

Ora che abbiamo visto quali e come esplica le sue funzioni nella cellula la pompa sodio-potassio viene più semplice capire il perché una gestione errata di sodio, potassio ed H2O porti ad un accumulo di liquidi extracellulari, se non bilanciati a dovere questi tre fattori portano la cellula a rilasciare acqua, che porta alla tanto odiata ritenzione….

Ma la parole ritenzione cosa significa oggettivamente?
Il termine ritenzione idrica in medicina sta ad indicare medicina la ridotta o la mancata eliminazione di sostanze che normalmente il nostro corpo dovrebbe eliminare, mentre per “idrica” si intende appunto l’ acqua.
Mi raccomando però non confondiamo ritenzione con cellulite, nonostante talvolta possano essere associati ed avere cause in comune non sono la stessa cosa.
Detto ciò, la ritenzione idrica si può definire come la tendenza del corpo ad accumulare liquidi negli spazi interstiziali, ovvero gli spazi tra le cellule.
È importante ricordare che ci sono casi in cui la ritenzione idrica ha origini patologiche: problemi cardiovascolari, renali, epatici, tiroidei o al sistema linfatico possono portare alla formazione di un edema, cioè ad un accumulo di acqua.
La ritenzione idrica è un fenomeno multifattoriale, e per tale ragione le cause sono molteplici.
È difficile dire sempre quale sia la causa che più contribuisce alla sua formazione, ma sicuramente l’ aspetto ormonale e la genetica hanno un peso notevole sulla sua formazione.
Infatti le cause sono solitamente cambiamenti nello stile di vita, in quanto alterno lo stato ormonale o a seconda del biotipo, in quanto un soggetto ginoide sarà più soggetto a presentarla.
Tra i sintomi più comuni della ritenzione si ha ovviamente una sensazione di pesantezza, stanchezza e gonfiore generalmente localizzati a livello degli arti inferiori, braccia, addome e in alcuni casi anche in viso.


Sicuramente se soffri di ritenzione un aspetto molto importante da tenere in considerazione sono l’idratazione e gli elettroliti.
 Secondo l’ESFA (European Food Safety Authority) la quantità di acqua che dovrebbe bere una donna adulta dovrebbe essere attorno ai 2 L al giorno, ovviamente si tratta di un dato generale che può variare a seconda dello stato fisico, della temperatura e dello stile di vita del soggetto preso in esame.
Mentre, per quanto concerne il sale vengono consigliati circa 5g che corrispondono a 2g di sodio e 300mg di potassio, rimangono però anche questi dei dati generale che possono variare in base a quanto già scritto sopra.
Questa correlazione tra acqua ed elettroliti è dovuta al fatto che sono in stretto collegamento

CONCLUSIONI

La pompa sodio-potassio svolge funzioni molto importante ed è da tenere in considerazione quando si redige il proprio piano alimentare se il fine è quello di ricercare una miglior composizione corporea/condizione fisica.
Un corpo con un bilancio tra acqua ed elettroliti presenterà minor liquidi extracellulari e di conseguenza un aspetto più “dry”, più roccioso.
Importantissimo per questo non eliminare mai il sale dalla propria alimentazione, un suo scarico non porterà a ridurre la ritenzione idrica, anzi, al contrario, creerà uno squilibrio a livello elettrolitico che porterà ad averne ancora di più.

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INDICE E CARICO GLICEMICO: COSA SONO?

L’indice glicemico è un parametro che permette di capire le variazioni della glicemia a seconda degli alimenti assunti e viene, anche se talvolta erroneamente, tenuto troppo in considerazione, ma scendendo nello specifico, di cosa si tratta?
L’indice glicemico serve a valutare le variazioni della glicemia con l’assunzione di 50g di ZUCCHERI di un determinato alimento, sottolineo 50g di zuccheri in quanto vengono presi in considerazione solo quelli e non l’intero alimento.
Questo può confondere, verrebbe da pensare “come 50g di zuccheri”, prendiamo in considerazione per capirci meglio un’albicocca, questa presenta pochissimi carboidrati per ogni singolo frutto, quindi ne andrebbero mangiate molte per arrivare ad un totale di 50g di zuccheri.
Infatti, l’indice glicemico guarda la qualità degli zuccheri presenti nell’alimento, valutando le variazioni della glicemica nelle due ore successive all’assunzione di 50g di zuccheri di un determinato alimento.
Quando sopra ho detto che talvolta viene erroneamente tenuto in considerazione mi riferivo al fatto che, queste valutazioni sono fatte in laboratorio, sul singolo alimento, senza considerare la quantità totale, la presenza di acqua, fibre, grassi, proteine che vanno comunque ad alterare la velocità di assorbimento nel tratto digerente e quindi le variazioni della glicemia.
Il problema per l’appunto, di tenere in considerazione l’indice glicemico è quello che in alimenti interi e quindi non solo valutando i loro zuccheri, diventa molto complesso fare ciò, infatti non è un valore riconducibile alla vita quotidiana, per questo è stato introdotto il carico glicemico degli alimenti, in modo tale da avere una valutazione più oggettiva.

CARICO GLICEMICO

Il carico glicemico, a differenza dell’indice glicemico che tiene conto solo della qualità degli zuccheri di un alimento, tiene anche conto della quantità di questi.

Indice glicemico: 50g di zuccheri di un alimenti valutando la variazione della glicemica in un arco di 2 ore.

Carico glicemico: (indice glicemico X carboidrati contenuti nell’alimento)/100.

Il primo valore indica solamente la qualità, il secondo qualità e quantità.

Gli alimenti vengono classificati in tre fasce differenti a seconda del carico glicemico:

Carico glicemico basso da 0 a 10

Carico glicemico medio da 11 a 19

Carico glicemico alto da 20 in poi

Bisogna tenere in considerazione che non è comunque il picco glicemico post prandiale a far ingrassare ma è il bilancio energetico, infatti, i problemi non vengono creati da un singolo piccolo glicemico, ma bensì, dalla glicemia nell’arco delle 24 ore della giornata e quanto tempo ci mette a rientrare nei valori ideali dopo un pasto.
Perché in ipocalorica infatti non ingrassiamo anche se può capitare di avere picchi glicemici elevati?
Perché ciò che conta, come detto sopra, è l’introito calorico, infatti in un contesto di ipocalorica non vi sarà la possibilità di ingrassare, dato che il dispendio è maggiore delle kcal assunte.

COME MISURARE L’INDICE GLICEMICO

L’indice glicemico si misura prendendo la media della glicemia dopo l’ingestione di 50g di zucchero di un alimento. A questa si compara come varia la glicemia ingerendo 50g di glucosio. La differenza tra le due variazioni indica l’indice glicemico:

Indice glicemico= (area alimento / area glucosio)x100

INDICE GLICEMICO NEGLI ALIMENTI

Andando a valutare differenti alimenti, possiamo trovarne delle fonti che presentano un basso indice nonostante siano densi di calorie e altri, con densità calorica irrisoria che presentano un IG più elevato, come ad esempio succo di mela e pane di segale.
Questi due alimenti sono pressoché uguali per quanto concerne l’IG, nonostante vi sia una differenza abissale andando a valutare l’alimento in sé o semplicemente, il carico glicemico.
Bisogna anche considerare che l’indice glicemico è influenzato dalla rapidità dell’assorbimento di questi, infatti quelli ad IG più basso sono anche quelli che contengono AMILOSIO, un amido resistente all’azione degli enzimi digestivi rispetto all’amilopectina.
Tutto ciò per ricordare che non ha senso basare la propria alimentazione sull’indice glicemico, come fecero la dieta a zona o la dieta dukan.
Ok, un deterioramento della sensibilità insulinica (continui picchi glicemici ne causano un deterioramento), porta ad accumulo indiretto di adipe a parità di kcal introdotte, però come già detto, il segreto per non ingrassare è controllare l’introito calorico ed è impossibile accumulare adipe se non vi è surplus calorico.
Il motivo infatti per cui diete del genere funzionano, non è per la glicemia mantenuta sempre bassa, bensì perché sono approcci alimentari che portano un soggetto ad escludere gli alimenti più comuni, facendo sì che vadano involontariamente ad assumere meno kcal (sempre di deficit calorico si tratta alla fin fine).
Come al solito anche qui si arriva alla conclusione che ci che fa da padrone nel cambio della composizione, ai fini del dimagrimento rimanga sempre il deficit calorico e non l’indice glicemico, questo può essere di aiuto, ma non sarà la chiave di volta che vi farà dimagrire.

PERCHÉ NON SONO IL CARICO O L’INDICE GLICEMICO A FAR INGRASSARE?

Si è soliti pensare che con i picchi glicemici, gli zuccheri vadano a stiparsi in adipe e sia questo a farci dimagrire, quando in realtà, le variazioni giornaliere che subisce il peso in caso di assunzione di alimenti ad alto IG sono semplicemente variazioni a carico dell’acqua, l’adipe richiede del tempo, per quanto breve, per aumentare o diminuire.
Un eccesso di zuccheri, nei soggetti sani attiva i mitocondri che gli bruceranno e trasformeranno in calore, mediamente solo il 10% degli zuccheri in eccesso si trasforma realmente in grasso e comunque, scusate se sono ridondante, è sempre il bilancio calorico a fare da padrone nell’accumulo o la perdita di adipe.
L’indice glicemico può influire ma indirettamente e sul lungo termine, portando ad un deterioramento della sensibilità insulinica, ma non in altro modo.

ALLORA PER COSA SONO IMPORTANTI INDICE E CARICO GLICEMICO?

Questi due fattori, come già detto, non sono fondamentali ai fini del perdere o accumulare adipe, lo sono il deficit o il surplus calorico, però trovano la loro importanza, come già citato sopra, sempre in contesto composizione corporea, sul lungo termine.
è vero, a decidere se accumuleremo o meno adipe vi è l’introito calorico, ma sul lungo termine, continui sbalzi glicemici portano ad un deterioramento della sensibilità insulinica e ciò, comporta a lungo andare, una peggiore gestione dei glucidi da parte del nostro organismo.
Una peggior gestione dei glucidici si va poi a tradurre in una minor perdita di peso a parità di deficit calorico in contesto di ipocalorica ed un minor anabolismo in fase di costruzione, con le kcal del surplus che sono più propense a stiparsi in adipe.
Con  tutto ciò voglio dire, non bisogna impazzire per l’indice glicemico, ma nemmeno trascurarlo andando ad assumere alimenti di scarsa qualità.

CONCLUSIONE

L’indice, come il carico glicemico, non sono due parametri fondamentali ai fini della composizione corporea, ma tornano utili sul lungo termine per mantenere una miglior sensibilità insulinica, che nel tempo porterà a maggior anabolismo ed una più semplice perdita di adipe in ipocalorica.
Ricordiamoci che l’indice glicemico si riferisce solo alla qualità degli zuccheri presenti negli alimenti, mentre, il carico glicemico che infatti è più attendibile, considera sia la qualità, che la quantità degli zuccheri presenti negli alimenti, cosa molto più utile.

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PROTEINE: IL QUADRO GENERALE

Le proteine sono i mattoncini che compongono il nostro organismo, in quanto hanno funzione plastica, sono costituite da sequenze di monomeri denominati amminoacidi, (AA) in quantità e disposizione differenti, a seconda delle quali formano un determinato tipo di proteina con caratteristiche e valore biologico differente.
Le proteine, come i carboidrati, sono composte da carbonio, idrogeno e ossigeno, con l’unica differenza che queste in più presentano l’azoto.
Gli amminoacidi vengono usati per funzioni energetiche ma non permettono la produzione di elevate quantità di glucosio, senza considerare i prodotti di scarto che vanno a formare.
Per comporre le proteine sono necessari tutti e 20 gli amminoacidi, di cui 11 vengono chiamati NON ESSENZIALI, in quanto il nostro organismo è in grado di sintetizzarli, mentre i restanti 9 vengono denominati ESSENZIALI, dato che non siamo in grado di sintetizzarli e quindi vanno per forza assunti tramite l’alimentazione/integrazione.
Gli amminoacidi essenziali sono: fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano, valina.

FUNZIONI

Le proteine come già accennato hanno una funzione plastica, questa però non solo per quanto riguarda i muscoli, i quali sono composti dal 20% di proteine, ma anche ormoni, enzimi e svariate strutture del corpo.
La necessità di assumere proteine nasce dalla presenza del turnover proteico, ovvero il ricambio costante di proteine tramite la scissione in amminoacidi per utilizzarli a seconda delle necessità.
Quindi vi è un costatante ricambio delle proteine presenti nell’organismo e per questo è necessario assumerne costantemente, infatti le proteine che costituiscono il nostro organismo attualmente non sono le medesime di qualche anno, nemmeno quelle di qualche mese fa.
Oltre la funzione plastica svolgono anche una funzione energetica quando non vi è sufficiente glucosio, regolano gli enzimi per il funzionamento del metabolismo, di trasporto come l’albumina, immunitaria in quanto gli anticorpi presentano una struttura proteica e contrattile, in quanto i filamenti di actina e miosina presenti nel muscolo permettono a questo di contrarsi ed allungarsi.

STRUTTURA DELLE PROTEINE

Le proteine come già detto sono composte da amminoacidi, i quali si legano tramite l’unione di un gruppo carbossilico di un amminoacido ad un gruppo amminico di un altro amminoacido tramite l’eliminazione di una molecola di H2O e ciò attribuisce una forma lineare alla struttura.
Questo struttura però può anche diventare tridimensionale ripiegandosi su sé stessa e andare a costituire catene più complesse tramite l’unione con altre catene.
Le proteine poi, si dividono in semplici o complesse e ciò dipende dalla struttura:

-Semplici: catene composte da soli amminoacidi.

-Complesse: catene composte ad altre unità di natura non amminoacidica come zuccheri o grassi.

FABBISOGNO PROTEICO

Il fabbisogno proteico è molto variabile a seconda del soggetto e dipende appunto da svariati fattori quali:

-Composizione corporea: rapporto tra adipe e massa magra.

-Soggettività: situazione a livello digestivo ed intestinale.

-Allenamento: volume ed intensità.

-Stile di vita: attivo o sedentario.

-Età.

-Dieta: introito calorico e fonti.

Infatti il fabbisogno proteico in un soggetto anziano sarà differente da quello di un bambino, come questo lo sarà da quello di una persona in sovrappeso, che a sua volta lo avrà differente da uno sportivo.
L’OMS consiglia di tenere 0,7g di proteine per kg corporeo, anche se nel caso di un soggetto che pratica attività sportiva un introito del genere risulterà irrisorio.

È importante stare attenti al rischio di una eventuale carenza a livello proteico, in quanto non è così difficile che ciò avvenga, dato che non esistono riserve di proteine nel corpo a differenza di carboidrati o grassi e per “colpa” del turnover proteico è necessario appunto continuare ad assumerne una quantità adeguata, visto che ogni giorno vengono degradate mediamente 270g di proteine con un riciclo per parte dei loro amminoacidi.

Il quantitativo di proteine giornaliero ideale per un soggetto qualsiasi varia in un range che va da 0.8 g/kg di peso corporeo fino a 3 g/kg, l’intervallo è così ampia, perché, come già detto, dipende da svariati fattori.
Gli sportivi hanno normalmente un fabbisogno protidico più alto dei sedentari e il range si restringe tra 1.5 g/kg e 3 g/kg peso corporeo.
Questi valori vanno in rapporto al peso corporeo, anche se in realtà il fabbisogno proteico, andrebbe calcolato in base alla massa magra che presenta il soggetto.
Il motivo per cui si valuta il peso totale è per un fattore di praticità, andare ad analizzare precisamente la composizione corporea risulta piuttosto ostico.

Uomo e donna hanno un fabbisogno proteico differente, la donna necessiterà di un quantitativo minore.
Infatti è consiglia per il gentil sesso un range tra le 0,8g/kg e gli 1.8g/kg, anche se in fase di ipocalorica si può arrivare a quantitativi leggermente più alti.
Mentre per l’uomo si consiglia un range tra 1,2/1,3g/kg fino a 2.2/3g/kg.
Questi sono i valori consigliati in un contesto di iper/isocalorica, al contrario, in caso di ipocalorica, sarà opportuno utilizzare quantitativi più elevati, sia per il senso di sazietà che regalano i protidi, sia per il mantenimento della massa magra.
Risulta quindi logico che il range di proteine da assumere in un periodo di definizione sia tendenzialmente più alto: un quantitativo che va dai 2,2g/kg di peso corporeo sino ai 3g/kg di peso corporeo.

VALORE BIOLOGICO

Il valore biologico (VB) di una proteina è stimato in base al contenuto di aminoacidi essenziali (EAA): più l’alimento proteico presenta una distribuzione amminoacidica simile a quella del corpo umano più il valore biologico è elevato. Proteine carenti di uno o più AAE non riescono, nemmeno in grandi quantità, a mantenere in equilibrio il bilancio azotato.
Infatti a parità di contenuto di azoto, una miscela di aminoacidi essenziali e non sembra stimolare meglio la proteosintesi rispetto ai soli EAA.

La biosintesi, avviene quando sono presenti tutti gli amminoacidi nello stesso momento, in caso mancasse uno o più EAA, questa non potrebbe innestarsi, in quanto il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli.

Ci sono diversi parametri per classificare le proteine con vari metodi, che considerano:

  • l’aumento di peso di un animale in accrescimento.
  • la variazione di ritenzione azotata nell’organismo.
  • la determinazione della composizione in aminoacidi.

Più una proteina assomiglia per composizione amminoacidica a quelle del corpo umano e più essa è considerata “utile” perchè completa dal punto di vista del fabbisogno organico. Si fa una distinzione tra le proteine ad alto, medio e basso valore biologico.

Le proteine a basso valore biologico comprendono la frutta e gli ortaggi, che sostanzialmente non presentano una frazione proteica e quindi praticamente assenza di aminoacidi essenziali.

Le proteine a medio valore biologico (o parzialmente incomplete) comprendono gli alimenti che non hanno una quantità sufficiente di uno o più aminoacidi essenziali.
È il caso delle proteine vegetali. 
I cereali sono poveri di metionina e lisina, mentre sono ricchi di leucina.
Al contrario, i legumi sono ricchi di lisina.

Le proteine di origine animale (pesce, carne, uova, latte e derivati) sono considerate ad alto valore biologico o proteine complete (o proteine nobili) perchè presentano tutti e 9 gli aminoacidi essenziali: istidina, leucina, isoleucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano, valina.

Il valore biologico è alto non solo nel caso di alimenti che già lo possiedono ma anche quando più fonti alimentari complementari di medio-basso VB vengono mescolate: il risultato finale è lo stesso, ovvero un pool di aminoacidi completo.

COME DISTRIBUIRE LE PROTEINE NELLA GIORNATA

La distribuzione di proteine alimentari nell’arco della giornata ha un ruolo secondario rispetto alla quantità. Questo perché l’organismo è, fortunatamente, abbastanza “intelligente” nella gestione dei substrati a disposizione. Il concetto di “limite proteico massimo assorbibile = 30 g per pasto” è stato in parte superato.

Ricorda comunque che anche l’eccesso proteico può determinare liposintesi e deposito adiposo; meglio dunque non concentrarle eccessivamente, distribuendole uniformemente nell’arco delle 24 ore.
Se ad esempio dobbiamo assumere 160g di proteine, sarà un’ottima idea dividerle in 4 pasti da 40g l’uno.

Nessun panico se li si assume divisi in meno pasti con quote più elevate, ciò porterà semplicemente ad avere degli amminoacidi circolanti in più.
Sarà quindi opportuno nel caso integrare successivamente una quota di EAA per completare il profilo amminoacidico.

Per massimizzare la sintesi proteica muscolare bisognerebbe garantire 700 – 3000 mg di leucina.
Ciò non costituisce quasi mai un limite, perché ben presenti in soli 15-20 g di proteine ad alto VB .

CONCLUSIONI

Le proteine sono i mattoncini che compongono i nostri muscoli e non sono meno importanti di carboidrati o grassi, anzi, lo sono tanto quanto, dato che ognuno dei tre macronutrienti presenta funzioni differenti.
È quindi molto importante raggiungere il proprio fabbisogno proteico, soprattutto per gli sportivi, così da migliorare la performance e la condizione, il quale, varia in base al soggetto, alla composizione, alla dieta, agli allenamenti ed allo stile di vita.

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GRASSI, IL QUADRO GENERALE

GRASSI

I grassi, detti anche lipidi sono un gruppo di sostanze eterogene che presentano un basso grado di solubilità in acqua.
Sono una forma concentrata di energia, e sono composti da carbonio, idrogeno ed ossigeno come i carboidrati, rispetto a questi però, presentano un rapporto molto più elevato, infatti forniscono molta più energica (9kcal x grammo), che però non è prontamente disponibile come quella derivante da glucidi.
Hanno svariate funzioni tra cui veicolare le vitamine liposolubili, agiscono sulla sazietà a lungo termine in quanto presentano un’elevata densità calorica che porta a richiedere maggior tempo per digerirli.
I depositi adiposi nell’organismo proteggono dagli urti ed hanno un effetto estetico sul corpo, in qaunto un accumulo/riduzione di adipe porta a modificare notevolmente il proprio aspetto fisico.
Fungono da isolante termico e permettono di rilasciare calore, oltre ad avere funzioni importantissime anche sul profilo ormonale e costituire tutte le membrane cellulari.
Sono infatti fondamentali e non devo mai mancare nella propria alimentazione o comunque scendere sotto una certa soglia, soprattutto quando si tratta di donne, essendo molto più “delicate” dal punto di vista ormonale in quanto i grassi sono precursori degli ormoni steroidei.

COME SI DIVIDONO

I grassi, si dividono in saturi e insaturi che a loro volta si dividono in polinsaturi e monoinsaturi:

-ACIDI GRASSI SATURI: sono privi di doppi legami, quindi presentano il massimo numero possibile di atomi di idrogeno, risultano dannosi se presenti in quantità troppo elevate nella dieta.
La maggior parte presenta una catena corta o media (circa 12 atomi di carbonio) e favoriscono la genesi di patologie cardiovascolari al contrario dei grassi insaturi che le limitano e prevengono, è bene però ricordare che risultano dannosi solo se in eccesso.
Sono presenti principalmente in fonti di grassi animali, ma talvolta è possibile trovarli anche in fonti di grassi vegetali come nell’olio di cocco.

-ACIDI GRASSI MONOINSATURI: a differenza degli acidi grassi saturi contengono un doppio legame lungo la loro catena, da questo deriva la desinenza mono.
Si trovano in grandi quantità nell’olio di oliva.

-ACIDI GRASSI POLINSATURI: contengono due o più doppi legami lungo la loro catena e sono presenti in grandi quantità nelle noci.

Questi sono sempre tutti presenti negli alimenti che contengono lipidi in rapporti differenti, ciò attribuisce proprietà organolettiche ai vari alimenti, quindi a sapore e consistenza che variano appunto in base al rapporto con cui questi sono presenti nell’alimento.

FABBISOGNO GIORNALIERO DEI GRASSI

Le linee guida della SINU per la popolazione Italiana consigliano di assumere circa il 20-35% delle kcal totali tramite grassi, ci sono però correnti di pensiero differenti che fanno variare il le percentuali in eccesso o in difetto a seconda del tipo di lavoro che si desidera fare.
C’è chi propende per una quota percentuale ancora più bassa, del 20 o addirittura 10% in modo tale da poter spendere maggiori quantitativi calorici per i glucidi per aumentarne la tolleranza da parte del corpo e chi invece tende ad andare anche oltre per far sì che il corpo sia in grado di ossidare meglio i grassi.
Ricordiamoci però che i grassi si dividono in saturi ed insaturi, una volta stabilito quale percentuale delle kcal totali attribuire al consumo dei grassi bisognerà bilanciare il rapporto tra questi due…

-Grassi saturi: sono quelli che vengono chiamati “grassi cattivi” ed è per questo motivo che vengono e vanno limitati nella dieta, si consiglia di tenere circa il 10/20% dei grassi totali da assumere nella giornata.
È importante però non demonizzarli in quanti vi sono comunque anche acidi grassi che non risultano dannosi come l’acido stearico.

-Grassi insaturi: compongono la parte “buona” dei grassi e deve comporre la restante quota di lipidi, quindi di circa il 90/80% dei grassi totali da assumere.
Si trovano in fonti quali: frutta secca, pesce azzurro e olio di oliva.
I grassi insaturi si compongono a loro volta da mono e polinsaturi ed è consigliabile distribuire la quota di lipidi rimanente in modo equo tra questi due.
Questi contengono anche gli omega 3 e 6, i primi presentano funzione antiinfiammatoria, mentre i secondi invece pro infiammatoria, ma solo se in eccesso.
È importante che il rapporto tra i grassi omega sia bilanciato proprio per evitare di cadere in uno stato infiammatorio, vi lascio il link per approfondire l’argomento. https://lucabertalli.wordpress.com/wp-admin/post.php?post=913&action=edit&calypsoify=1

È fondamentale assumere una quota minima di grassi al giorno per l’organismo, in quanto, come già detto sopra, sono precursori degli ormoni steroidei.
C’è una soglia limite sotto la quale è bene non scendere, per gli uomini è consigliato non scendere sotto i 30/35g al giorno, mentre per le donne sotto i 40/60g al giorno, questo perché hanno una quantità maggiore di grasso essenziale da mantenere rispetto agli uomini.
Così come è bene non scendere sotto certi quantitativi lo è anche non eccedere, in quanto potrebbe portare ad accumulo di adipe diretto.
Questo avviene perché le cellule del grasso inglobano gli acidi grassi in eccesso rafforzandosi e da qui si può sfociare in un aumento dei grassi nel sangue, alterazioni nel profilo ormonale e fegato grasso, oltre ovviamente all’accumulo di adipe.
Il quantitativo che si consiglia tenere come soglia massima è di 0,5/1,5g x kg corporeo, sopra questi quantitativi non si hanno più benefici, anzi…


GRASSI TRANS E IDROGENATI

I grassi trans sono di tipo insaturo ma presentano lungo la loro catena delle alterazioni della posizione (in questo caso opposta) degli atomi di idrogeno nei loro doppi legami, si trovano principalmente in alimenti lavorati tramite grassi idrogenati e ciò è dovuto dal processo di idrogenazione.
Il problema di questa tipologia di grassi che viene ritenuta pericolosa è il rischio di insorgenza di problematiche cardiovascolari tramite la loro assunzione in quote elevate, dovuto dal peggioramento del profilo lipidico, portando ad un aumento del colesterolo LDL ed una diminuzione del colesterolo HDL.
Questa è una problematica che è diventata rilevante col passare del tempo, in quanto è aumentata notevolmente la presenza di prodotti industriali che li contengono, dato che le aziende, per risparmiare, utilizzano molto più frequentemente grassi idrogenati.
Per i grassi trans non vi è una quantità consigliata da assumere, anzi, è meglio tenerli il più possibile vicino allo zero.
È bene prenderne atto in modo da acquisire consapevolezza riguardo a ciò che si mangia e quindi tenere uno stile di vita più sano.

CONCLUSIONE

I grassi non portano ad accumulare adipe a priori, ciò che porterà a questo sarà il surplus calorico o un abuso di lipidi.
Sono fondamentali, se ben bilanciati, e nelle giuste dosi porteranno giovamento, per cui non vanno demonizzati.

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CARBOIDRATI: QUADRO GENERALE

I carboidrati sono il carburante che ci permette di svolgere le nostre funzioni vitali, è ciò che ci da energia e si trovano praticamente ovunque, dall’amido della pasta allo zucchero, fino ad arrivare alla cellulosa contenuta nella corteccia delle piante.
Vi è una forte carenza di informazioni dal punto di vista nutrizionale per quanto concerne la cultura generale, per questo è importante conoscere cosa sono e come funzionano, lo stesso per grassi e proteine.
Infatti questi saranno gli argomenti di cui tratterò nei prossimi articoli per chiudere la triade e darvi un quadro generale quanto meno completo.
Fanno parte del DNA come ribosio e sono determinanti del gruppo sanguigno, la loro funzione principale è energetica (glucosio), come fossero una specie di carburante per il nostro organismo.
La funzione energetica è resa possibile dalla trasformazione di glucosio in ATP, la forma in cui questo “carburante” è fruibile per le cellule.
Il glucosio è presente nel nostro come corpo come fonte di riserva nel fegato sotto forma di glicogeno, lo stesso anche nei tessuti muscolari, dal quale però non si attinge in caso di carenza, ma viene solamente utilizzato per le fibre muscolari.

METABOLISMO DEI CARBOIDRATI

Il metabolismo dei carboidrati è il processo grazie al quale si ottiene ATP, ovvero la forma in cui i carboidrati sono fruibili come fonte di energia.
Si tratta di un processo molto complesso, quindi riassumerò solo le fasi più importanti:

I glucidi vengono assorbiti nell’intestino sotto forma di monosaccaridi, successivamente questi arrivano al fegato in cui entrano nell’epatocita per essere fosforilati, così da bloccarlo dentro la cellula.
Il glucosio viene poi stipato nel fegato o raggiunge le cellule muscolari tramite il flusso ematico in cui viene depositato come glicogeno muscolare.
Successivamente, quando vi è poi richiesta di energia, il glucosio viene rilasciato grazie all’enzima glucosio-6-fosfato fosforilasi che rompe i legami tra le molecole del glicogeno e il glucosio viene messo in circolo a disposizione delle cellule che ne hanno bisogno.
Infine, il glucosio nelle cellule entra nella glicolisi e nel ciclo di Krebs per essere trasformato in ATP ed essere utilizzato.

TIPOLOGIE DI CARBOIDRATI

I carboidrati, com’è facilmente intuibile dal nome sono composti da tre atomi: carbonio, idrogeno, ossigeno.
La denominazione che ricevono dipende dal numero di unità che li compongono e sono:

-MONOSACCARIDI

-DISACCARIDI

-OLIGOSACCARIDI

-POLISACCARIDI

Monosaccaridi: Sono carboidrati costituiti da una singola unità, proprio per questo prendono il nome di glucidi semplici o zuccheri in quanto attribuiscono un sapore dolce agli alimenti da cui sono composti e fanno da base per tutte le altre tipologie.
Vengono a loro volta classificati in base al numero di atomi di carbonio che contengono e della presenza di un gruppo aldeidico o chetonico:
Per citarne alcuni, i più comuni, troviamo: fruttosio, glucosio, galattosio, ecc

Disaccaridi: Questi, come i monosaccaridi sono sempre denominati zuccheri per il sapore dolce che attribuiscono agli alimenti e sono composti come si può intuire dal nome.
Hanno origine dall’unione di due monosaccaridi con cui si formare i classici: lattosio, saccarosio, ecc

Oligosaccaridi: presentano una struttura più complessa dei loro fratelli disaccaridi, in quanto sono composti da una maggior quantità di monosaccaridi, infatti la loro struttura è composta da due fino a dieci monosaccaridi.

Polisaccaridi: hanno una struttura molto complessa, infatti sono composti minimo da 10 unità di monosaccaridi.
Presentano funzione di riserva.

CARBOIDRATI QUALI, QUANTI E FUNZIONE?

I carboidrati sono il macronutrienti che fornisce il maggior apporto di energia e permettono di “aumentare” il metabolismo, in quanto portano allo stimolo della leptina, l’ormone che regola il senso di sazietà ed è proprio quello che in contesti di forti ipocalorica prolungata subisce delle alterazioni ed alla conversione dell’ormone T4 in T3.
Questi sono gli ormoni tiroidei che portano ad un innalzamento del metabolismo, in quanto portano a lavorare maggiormente la tiroide.
Sono importanti anche in contesti di deficit calorico, come in bulk in quanto permettono di generare anabolismo e di conseguenza impedire il catabolismo proteico.
Esistono differenti fonti glucidiche, ma attenzione però, non vi è una tipologia in particolare, al massimo da limitare.
A differenza di quanto si è soliti credere, non ci sono alimenti magici e alimenti cattivi, tutto va contestualizzato, per cui è possibile utilizzare qualsivoglia fonte glucidica, l’importante come sempre sono le kcal introdotte.
Verrà da sé che ciò che porta ad ingrassare non sono appunto alimenti considerati “cattivi”, ma semplicemente l’eccesso, se io consumo 1500 e mangio 2500, anche se fossero kcal derivanti da fonti considerate “sane”, si andrebbe incontro ad un accumulo di adipe.
Quindi anche gli zuccheri possono essere assunti senza troppe paranoie, l’importante è limitarne la quantità.

LINEE GUIDA SULL’ASSUNZIONE DEI CARBOIDRATI

La quantità esatta di carboidrati da assumere in un giornata è soggettiva e non vi è una sola risposta, in quanto la composizione corporea, la fase della programmazione in cui ci si trova, lo stile di vita, gli allenamenti e non solo influenzano molto la loro quota.
Sicuramente un uomo avrà la possibilità di assumere una quota maggiore rispetto ad uno donna e così uno sportivo rispetto ad un sedentario.
Vi consiglio di ripartire i carboidrati utilizzando le kcal restanti da quelle che avete deciso di assumere dopo aver impostato proteine e grassi, per poi variare in caso di necessità.
La quantità di carboidrati che il corpo ha la possibilità di assorbire è di circa 1gxkg di peso corporeo all’ora, ma ciò può variare in quanto è influenzato da molteplici parametri:
-La velocità di svuotamento gastrico che dipende dalla densità calorica degli alimenti, maggiore è, maggiore sarà il tempo richiesto per l’assorbimento.
-La struttura della fonte glucidica, in quanto, più è complessa più tempo sarà necessario per il suo assorbimento.
-La velocità di assorbimento a livello intestinale
-La presenza di altri nutrienti quali proteine, grassi, fibre, ecc in quanto portano ad un aumento del tempo di digestione.

Per quanto concerne il momento più indicato per l’assunzione non vi è una vera e propria risposta come per la digestione, bene o male non vi è un momento ideale, al massimo è consigliabile concentrarne la quota maggiore circa tre ore tra pre e post allenamento per una questione di richiesta energetica.

INDICE GLICEMICO

Questo è un fattore piuttosto rilevante per quanto concerne la scelta delle fonti e del timing nutrizionale dei carboidrati, ciò però non significa che i carboidrati ad alto indice glicemico siano il male, anzi…
Il motivo è da ricercare sempre nella frase “è la dose che fa il veleno”, inserire degli alimenti con un indice glicemico alto non porterà nessun problema in un contesto di dieta sana ed equilibrata, anzi, potrebbe giovare sicuramente.
Se proprio vogliamo essere pignoli possiamo dire che è meglio prediligere carboidrati a basso indice glicemico, che ciò non significare assumere esclusivamente quelli.
Questo perché assumere prettamente fonti ad alto IG porterebbe ad un deterioramento della sensibilità insulinica che è ciò che permette al nostro organismo di gestire al meglio i glucidi.

CONCLUSIONE

I carboidrati, come gli altri nutrienti, sono fondamentali per l’organismo e vanno introdotti nelle giuste quantità, non eliminati o assunti in quantità eccessive come fossimo degli animali all’ingrasso.
Nei prossimi articoli tratteremo degli altri due macronutrienti, in modo tale da avere un quadro completo.

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BENESSERE EPATICO

Questo è argomento che tocca in prima persona buona parte degli atleti del mondo del bodybuilding e non solo.
Ho deciso di parlarne anche se si tratta di un argomento un po’ tabù visto a cosa è legato, perchè, e non prendiamoci in giro, il doping è oggettivamente e ampiamente diffuso nel mondo dello sport.
Considerando anche che un po’ di informazione in merito può tornare utile come forma di prevenzione (prevenire è sempre meglio che curare) in quanto comunque si sa che l’uso di anabolizzanti non è salutare, anzi…
Oggi non parlerò del comparto alimentare, bensì dell’integrazione atta a proteggere e mantenere il benessere epatico, torneremo poi a vedere come possa essere gestita la dieta per una fase detossificante.

IL SEGRETO DEL BENESSERE EPATICO

Il rimedio naturale per eccellenza per detossificare il fegato è bere acqua calda e limone al mattino. Purifica il sangue, regola l’intestino e favorisce l’eliminazione delle scorie in eccesso.
Basta, articolo finito, tutti a casa.
No, ok, frase copiata ed incollata a caso da google a parte, che purtroppo, o per fortuna, ciò che è scritto in realtà ha un impatto pressoché irrisorio se si tratta di proteggere il fegato dagli anabolizzanti…
Vediamo cosa realmente può tornare utile, ovviamente si tratta di integratori, quindi nemmeno questi fanno miracoli, però rispetto all’acqua calda col limine perlomeno non è come combattere un bazooka cin una banana.

PERCHÉ MANTENERE IN SALUTE IL FEGATO

Pare una domanda abbastanza stupida e scontato per chi ragiona cum grano salis, in quanto avere un fegato in salute, non so voi, ma penso sia importante per vivere.
Mamma mia quanto sono simpatico oggi…
Cavolate a parte, lo specifico perché purtroppo molti lasciano la salute in secondo piano, quindi volevo dare qualche ragione in più a chi si cura solo del fine tralasciando la propria salute, del perché se si vuole arrivare alla miglior condizione possibile è bene che il fegato funzioni a dovere.
Quando il benessere epatico è compromesso e quindi il nostro fegato appesantito, altre al rischio a livello di salute, vi è anche quello di compromettere i propri obiettivi, in quanto, se una ruota inizia a non girare più a dovere, ne risente tutto il carro.
Se la salute viene compromessa da questo punto di vista ne si risentirà in primis a livello alimentare, palesandosi con senso costante di inappetenza e problemi a livello gastrico per quanto concerne la digestione, con conseguente stanchezza/spossatezza cronica e nausea.
Tutto ciò a sua volta si riverserà sulla condizione, in quanto ciò in primis porterà ad uno stress veramente elevato, quindi cortisolo che schizza a picco e ad una difficoltà nell’attinenza del proprio piano alimentare.
Pensato ad un culturista coi suoi sei classici pasti al giorno, assumete il primo e già assumere il secondo anche a distanza di due/tre ore risulterà ostico in quanto probabilmente sarà ancora in fase digestiva il precedente, dilatando così gli orari di tutti i pasti.
Questo potrebbe poi riflettersi anche sull’allenamento in quanto la resa sarà minore, affrontate ogni sessione mentre stato ancora digerendo o avete la nausea, sarà sempre un calvario.
Quindi andrà ad instaurarsi un circolo vizioso che potrebbe portare ad un fallimento nella vostra preparazione.

INTEGRATORI

Gli integratori che tornano utili in questi contesti per la depurazione del fegato sono:

-Silimarina

-NAC (n-acetil cisteina)

-ALA (acido alfa lipoico)

-arginina

-Curcuma

-Glutatione

Lascio per ultimo il glutatione perché è un discorso che va approfondito maggiormente, in quanto ne esistono più forme e non sono tutte biodisponibili, ma al contempo rimane l’alleato più valido per il supporto del nostro amico fegato

SILIMARINA

La silimarina è una miscela costituita soprattutto da tre sostanze: la silibina, la silicristina e la silidianina. Questo complesso di flavonolignani si trova in diverse piante, soprattutto nel cardo mariano, dov’è originariamente presente nel rapporto 3:1:1.
L’importanza del cardo mariano è conosciuta da tempo in ambito fitoterapico, dove viene tradizionalmente impiegato  per migliorare la salute e la funzionalità del fegato. 
I suoi benefici a livello epatico sono riconducibili soprattutto alla sua capacità di aumentare la sintesi delle proteine epatiche e di inibire quella dei mediatori infiammatori e dei radicali liberi. 
La silimarina viene assorbita per via orale ed escreta attraverso la bile, con un’emivita di circa 6 ore.
In campo medico viene utilizzata con successo come coadiuvante nel trattamento delle epatiti, delle cirrosi croniche, delle intossicazioni epatiche ed in caso di avvelenamento da Amanita Phalloides.
In ambito sportivo viene invece utilizzata appunto per sopperire all’intossicazione generata dai farmaci anabolizzanti.
Si può trovare sotto forma di integratore, anche ad alti dosaggi, nei vari studi clinici sono stati utilizzati dosaggi mediamente compresi tra i 200 ed i 1000 mg di silimarina al giorno.
Un sovradosaggio non presenta effetti collaterali rilevanti, salvo l’effetto lassativo generato ad alte dosi probabilmente a causa del suo stimolo positivo sulla sintesi e sul flusso biliare.
Personalmente, con dati delle analisi alla mano ho trovato che il dosaggio migliore sia di 1200mg al giorno.

NAC n-acetil cisteina

La NAC viene utilizzata anche per le sue proprietà antiossidanti.
Il gruppo chimico tiolico o sulfidrilico è in grado di neutralizzare direttamente i radicali liberi.
Il motivo per cui però a noi interessa l’assunzione della NAC è che si tratta di un precursore del glutatione, che è la sostanza a effetto antiossidante più importante per la protezione delle cellule del nostro corpo.
La tossicità indotta dagli anabolizzanti è dovuta alle metilazioni, singole o doppie, che alcune molecole presentano e che sono necessarie perché queste possano essere biodisponibili.
Queste metilazioni portano ad un esaurimento del glutatione epatico, il fegato è l’organo preposto alla disintossicazione dell’organismo e l’esaurimento del glutatione lo danneggia gravemente e in taluni casi può provocare la morte.
La NAC somministrata per via endovenosa o orale entro 24 ore dall’intossicazione è efficace nel ripristinare i livelli di glutatione e quindi nel prevenire i danni al fegato.
Attenzione però che non è tutto oro quel che luccica, un sovradosaggio di NAC può sortire l’effetto opposto, quindi non esagerate.
Il dosaggio consiglio, che è comunque “danno dipendente”, proprio per questo presenta un range così ampio va da 1000mg fino a 2000mg.

ALA acido alfa lipoico

Le sostanze ad attività antiossidante svolgono un ruolo primario nel “difendere” le cellule epatiche dai danni generati dallo stress ossidativo e dai radicali liberi prodotti da diverse reazioni biochimiche che avvengono proprio a livello epatico.
Fra queste sostanze la più attiva è senz’altro lacido alfa-lipoico, in quanto presenta un fortissimo potere antiossidante.
Esso, infatti, è caratterizzato da un elevata reattività contro i radicali liberi ed è in grado di rigenerare la Vitamina C e la Vitamina E ossidate e di innalzare i livelli tissutali di glutatione. Da uno studio su pazienti pubblicato su una rivista scientifica è emersa l’efficacia d’uso nel trattamento di disordini epatici dell’acido alfa-lipoico in combinazione con selenio, Vitamina E e silimarina.
La vitamina E ed il selenio in questi articoli li tralascerò in quanto presentano benefici piuttosto irrisori se paragonati agli integratori sopracitati e quelli che ancora devo citare.

ARGININA

Tralasciamo un secondo l’idea che possa aumentare la produzione endogena di ormone delle crescita ed affini e andiamo a vedere ciò che a noi interessa ora.
L’uso di Arginina in ambito sportivo è attualmente giustificato dal ruolo antiossidante ed immunomodulante, prezioso soprattutto durante sessioni allenanti particolarmente intense, piuttosto che durante competizioni prolungate.
Non meno importanti sarebbero anche il potenziale ruolo ergogenico, legato all’attività gluconeogenica dell’Arginina, e il ruolo detossificante nei confronti delle scorie azotate, solitamente più elevate negli sportivi.
Sono proprio il ruolo di antiossidante e quello di detossificante per le scorie azotate che ci interessano.
Come già visto sopra il potere di antiossidante è molto utile per il fegato, ma altrettanto e proprio per questo la cita, lo è il potere detossificante per le scorie azotate.
L’alimentazione di un culturista è di base un’alimentazione iperproteica, quindi una parte delle proteine andrà sicuramente in scorie azotate, soprattutto quando si tratta di user, in quanto l’introito proteico in questo caso sarà nettamente superiore.
La dose utile è di circa 10g, ancor meglio se assunti nel pasto post allenamento, in quanto ha un effetto positivo sulla glicemia, riducendo il picco che si va a creare nel pasto che solitamente presenta la quota glucidica più elevata.

CURCUMA

Lo stress ossidativo è considerato una delle cause principali di danno epatico, indotto da numerosi fattori, tra cui alcol, droghe, infezioni virali, inquinanti ambientali, diete scorrette ecc. La curcumina è una delle molecole più comunemente usate per proteggere il fegato, infatti esercita una notevole protezione su questo e numerosi benefici terapeutici sulle malattie epatiche attraverso diversi meccanismi molecolari e cellulari.
Presenta anche la capacità di migliorare ampiamente la risposta delle cellule allo stress ossidativo, apportare benefici nella prevenzione e nel trattamento della steatoepatite non alcolica, conosciuta volgarmente come “fegato grasso” e grazie al fatto che favorisca il lavoro di alcuni enzimi deputati proprio alla depurazione epatica ha un effetto detossificante sul fegato.
ATTENZIONE però, le dosi non bisogna assumerne dosaggi molto elevati, in quanto la popolazione caucasica non avendolo come alimento primario nella normale alimentazione a differenza delle popolazioni del medio oriente, in molti soggetti vi una mancanza di enzimi atti alla sua metabolizzazione.
Quindi potrebbe sortire l’effetto opposto risultando tossica.

GLUTATIONE

Il glutatione o GSH è un tripeptide naturale, vale a dire una sostanza costituita da tre amminoacidi, nell’ordine acido glutammico, cisteina e glicina. Questa particolare composizione chimica conferisce al glutatione un’elevata capacità di ossidarsi o ridursi, proteggendo le proteine e gli altri composti ossidabili dall’azione deleteria dei radicali liberi.
Più in particolare, il glutatione rientra nella composizione di un gruppo di enzimi ad azione antiossidante, chiamati glutatione perissodisa.
Da diversi lavori clinici, e da numerosissimi studi sperimentali, la somministrazione di glutatione sembrerebbe utile nel Proteggere il fegato dall’azione trasformante di potenziali sostanze tossiche.
Nonostante le evidenze cliniche incoraggianti, esistono oggi diversi dubbi, soprattutto di natura farmacocinetica, relativi alla reale utilità dell’integrazione con glutatione sotto forma orale.
Il tutto sarebbe riconducibile alla presenza, nell’intestino, di enzimi noti come gamma glutammil-transferasi, che idrolizzerebbero il glutatione assunto per os, riducendone drasticamente la biodisponibilità.
A compromettere ulteriormente la biodisponibilità di questo nutriente contribuirebbero uno spiccato metabolismo di primo passaggio e il sequestro cellulare esercitato dagli enterociti della mucosa intestinale.
L’unica forma che risulta efficace pare essere il glutatione sotto forma iniettabile, quindi il classico TAD600 reperibile in farmacia previa prescrizione medica.
La prescrizione è necessaria non tanto perché presenti controindicazioni, bensì perché si tratta della forma iniettabile.
Esistono però delle forme orali progettate di recente che presentano maggior biodisponibilità rispetto alle classiche, come il glutatione liposomiale prodotto da Tsunami Nutrition e ciò è permesso dall’associazione con ad una tencnologia unica la LipoCellTech™.
La tecnologia brevettata LipoCellTech™ è una tecnologia liposomiale in polvere utilizzata per migliorare il rilascio e la biodisponibilità di sostanze idrosolubili e facilmente ossidabili come il glutatione, in quanto, come precedentemente scritto il glutatione sotto forma orale risulta pressochè non biodisponibile.
Si tratta di una tecnologia di tipo liposomiale, è stata utilizzata l’azione dei liposomi studiando l’influenza dei fosfolipidi sui processi di coagulazione del sangue. I fosfolipidi infatti hanno la capacità di formare particelle organizzate in due strati, simili alle membrane cellulari, che possono contenere al loro interno varie sostanze attive capaci di oltrepassare indenni i processi digestivi.
La tecnologia LipoCellTech™ prevede la formazione di microsfere a partire da bilayer fosfolipidici che si richiudono su loro stessi. Queste strutture definite liposomi hanno la capacità di proteggere sia dall’azione di enzimi idrolitici che da una prematura ossidazione ma anche di promuovere la fusione con la membrana cellulare degli enterociti aumentando così la concentrazione intracellulare.
Qui il link diretto al prodotto presente sul sito di Tsunami Nutrition.

COME IMPOSTARE UNA FASE DI BULK

Le fasi di costruzione, dette anche volgarmente di “massa” o di “bulk”, sono parte integrante del bodybuilding.
I periodi di iperalimentazione sono fondamentali in questa disciplina, in quanto lo scopo rimane sempre quello di generare ipertrofia e quindi sviluppare maggior massa muscolare.
Il problema è che non basta semplicemente mangiare “molto”, la fase di costruzione è una fase altrettanto delicata quanto quella di cut, ovvero l’ipocalorica in cui si va a ricercare una diminuzione dell’adipe.
Purtroppo, talvolta i bulk sfociano in diete da maiali all’ingrasso, in cui ci si ritrova a dar da mangiare agli adipociti più che generare ipertrofia e purtroppo, da un punto di vista ormonale porta all’instaurarsi dei processi che ridurranno di gran lunga l’ipertrofia muscolare e la performance in allenamento.
Quindi sarà fondamentale procedere per piccoli passi, come fossimo delle formichine per arrivare all’obiettivo prefissato nei migliori dei modi, soprattutto se non vogliamo ritrovarci a dover affrontare una successiva fase di ipocalorica lunga e tortuosa.
Per fare ciò sarà fondamentale un connubio tra dieta ed allenamento ben impostati, in quanto le due cose vanno di pari passo.

DIETA PER LA FASE DI COSTRUZIONE

Partiamo con ciò che concerne il comparto alimentare, che per di più, per quanto io ritenga più importante l’allenamento, è comunque l’aspetto che ci permette di controllare la composizione corporea durante questa fase.
È risaputo che per avere aumenti di massa magra è necessario un surplus calorico, il problema è: quanto deve essere elevato questo surplus calorico?
Considerando che un periodo di costruzione inizia dopo una fase di ipocalorica.
Prendiamo in considerazione come scenario la fine e quindi l’uscita dalla fase di ipocalorica per passare al periodo di costruzione per vedere come muoverci.
Terminata la fase di ipocalorica dovremo rialzare le kcal per arrivare all’introito calorico desiderato, ma ciò va fatto procedendo per gradi, iniziare ad ingerire elevate quantità di calorie porterà solo ad uno scenario indesiderato, ovvero di un eccessivo accumulo di adipe con tutto ciò che ne consegue, quindi: sensibilità insulinica che va peggiorando, aumento degli estrogeni circolanti e via dicendo.
Quindi leviamoci dalla testa gli aumenti repentini di kcal.

COME MUOVERSI DOPO UNA FASE DI IPOCALORICA?

Come già detto, dopo una fase di ipocalorica sarà necessario aumentare le kcal per cominciare la fase di costruzione, ma dovendo andare per gradi sarà necessario procedere con aumenti graduali.
Ipotizziamo una dieta in cui abbiamo toccato (numeri ipotetici) le 2000 kcal e vogliamo riportarle alla nostra ipotetica normocalorica, che sappiamo essere all’incirca sulle 2700 kcal, andremo ad aumentare gradualmente le kcal di settimana in settimana.
In un contesto del genere si potrà arrivare a livello anche in sole 3 settimane procedendo con aumenti di circa 250 kcal a settimana.
Il tempo necessario per tornare in ipocalorica è comunque variabile e dipende dalla durata della fase di ipocalorica, percentuale di massa grassa raggiunta e deficit calorico creato.
Maggiori saranno questi 3 fattori, più lento dovrà essere l’aumento per tornare alla propria isocalorica, in quanto, detto in modo volgare, il metabolismo tende a “rallentare” col protrarsi della fase di ipocalorica, quindi sarà necessario “svegliarlo” per riportarlo a lavorare a pieno regime.
Infatti un “cut” in cui si ricerca una condizione più “estrema” non termina una volta raggiunta tale condizione, bensì, se ovviamente intendiamo fare le cose per bene, quando ritorniamo ad assumere lo nostre calorie di “mantenimento”, altrimenti nel caso mandiate tutto a quel paese con sgarri sovraumani una volta finito il periodo di deficit calorico, non lamentatevi se vi ritrovate come dei suini che mangiano poco e le cui prestazioni in allenamento faticano a migliorare.

QUANTE KCAL IN IPERCALORICA?

Una volta raggiunta la nostra isocalorica, dopo la fase di deficit sarà il momento di iniziare ad aumentare le kcal per predisporre un ambiente anabolico.
L’ aumento dovrà essere graduale, la velocità con cui dovranno essere aumentate le kcal dipenderà dalla percentuale di adipe raggiunta, dal deficit creato e dalla durata della fase di deficit.
Quindi, maggiore saranno questi fattori e più lento e graduale dovrà essere l’aumento calorico, al contrario, minore saranno questi fattori e più rapidamente si potrà tornare alla propria isocalorica, in questi casi infatti si potrà talvolta anche optare per un aumento repentino tornando direttamente alle kcal necessarie come “mantenimento”.


Esempio:
-atleta che termina una gara, in questo caso si dà per scontato che la preparazione sia stata piuttosto lunga e la percentuale di adipe raggiunta sia stata veramente bassa.
In questo caso sarà opportuno procedere con aumenti graduali di circa 300kcal/week, ripartiti tra carboidrati e grassi, nel mentre verr ridotto l’intake proteico.
Ipotizziamo che l’atleta in questione abbia toccato le 1800kcal di cui 200p, 150c e 45f, predisporremo un  aumento di 300kcal circa con un ipotetico 50g di carboidrati e 10g di grassi a settimana e dopo le prime settimane andremo a ridurre le proteine.
-persona che ha raggiunto una buona condizione dopo un breve periodo di ipocalorica senza utilizzare un deficit troppo marcato, in questo caso se dalla normocalorica si è settato un deficit di 800kcal, potremmo procedere reinserendo fin da subito quelle 800kcal, personalmente sto sempre un po’ al di sotto della ipotetica isocalorica, quindi personalmente partirei aggiungendo 600kcal e non 800, per evitare rebound, ma in questo articolo mi limito a spiegarvi come si può agire in base alle normali casistiche, quindi…
Nell’aumentare le kcal ovviamente andranno leggermente ridotte le proteine, le kcal in meno potranno essere sfruttate a favore di carboidrati e grassi.
Una volta raggiunta la propria isocalorica sarà il momento di passare alla fase di surplus calorico aumentando ancora le kcal.
Anche in questo caso sarà opportuno che l’aumento sia lento e graduale e che il surplus sia minimo, questo perché gli aumenti di massa magra in un atleta non supportato (natural) saranno lenti e minimi, di conseguenza un aumento marcato del peso starebbe a significare che per lo più, il peso guadagnato sarà composto in buona parte, se non totalmente, da adipe.
Un aumento ideale di peso è di circa 0,8/1% al mese del proprio peso corporeo per essere sicuri che ciò che stiamo guadagnando non sia solo grasso.
Quindi, andando ad instaurare un surplus di circa 200/300kcal al giorno, circa 1400/2100 a settimana, andremo ad accumulare 1kg o poco meno al mese.

QUALE MACRONUTRIENTI SFRUTTARE PER L’AUMENTO CALORICO

Le proteine sono l’unico macronutriente che durante una fase di costruzione non subisce un aumento ma bensì una diminuzione.
Infatti, in una fase di surplus calorico è consigliato tenere una quota proteica di circa 2/2,2g di proteine per kg corporeo, in alcuni casi, a seconda dello stile di vita (se veramente attivo) e dell’allenamento (se veramente tassante), potranno essere necessari anche quantitativi più elevati, perché, come tutto in questo ambito, è soggettivo.

A differenza delle proteine invece, carboidrati e grassi subiranno un aumento per poter alzare le kcal.
Questi due macronutrienti a differenza delle proteine che hanno funzione plastica, in quanto sono i “mattoncini che compongono i muscoli”, hanno funzione energetica.
I carboidrati sono quelli verso cui si fa pendere l’aumento calorico, in quanto risultano essere i macronutrienti che ci dànno “energia immediata”, mentre i grassi hanno maggior rilevanza per quanto concerne l’aspetto ormonale.
Infatti è importantissimo, soprattutto per quanto concerne il gentil sesso, non scendere mai sotto i 30g di grassi al giorno per un fattore ormonale.
Per quanto concerne i grassi è consigliato assumerne dagli 0,8g fino ad 1,5g per kg corporeo di peso ed il restante delle kcal necessarie per arrivare all’introito voluto andranno utilizzate a favore dei carboidrati.
Nella maggior parte dei casi si tende a far pendere l’ago della bilancia per i carboidrati, questo però dipende comunque da svariati fattori quali: composizione corporea, allenamenti, passato, stile di vita del soggetto.

-Un soggetto che presenta una percentuale di adipe abbastanza elevata troverà giovamento a prediligere i grassi rispetto ai carboidrati, in quanto probabilmente la sensibilità insulinica sarà deteriorata.

-Un soggetto che svolge allenamenti ad alto volume necessiterà maggiormente di carboidrati rispetto a grassi, al contrario un soggetto che svolge lavori con alta intensità di carico necessiterà maggiormente di grassi.

-Un soggetto che ha avuto un passato da obeso o forte sovrappeso si troverà meglio coi grassi, questo però dipende anche dagli altri fattori sopracitati, perché in caso avesse stravolto la sua condizione e di conseguenza lo stile vita potrebbe stravolgere le cose.

-Un soggetto che ha uno stile di vita molto attivo in quanto svolge un lavoro che porta ad un dispendio elevato necessiterà di una quota maggiore di carboidrati rispetto ai grassi.

COME GESTIRE L’ALLENAMENTO

Ora che abbiamo visto a grandi linee come gestire il comparto alimentare passiamo a ciò che concerne l’allenamento.
Nella fase di costruzione, in cui le energie visto il surplus saranno nettamente maggiori rispetto alla fase di cut, potremo, anzi, dovremo utilizzare maggior volume/intensità in allenamento, più benzina = più km, attenzione però a non esagerare, si può fare di più, ma ciò non implica che si debba cominciare a svolgere sedute di allenamento che sembrano maratone.
Dieta ed allenamento devono andare di pari passo, quindi sarà necessario un connubio tra due fattori.
Partendo dal presupposto che ciò che permette di dare uno stimolo che generi ipertrofia è l’allenamento, sarà opportuno settare la dieta in base a come verrà impostato questo e ciò porterà a far pendere l’ago della bilancia per i carboidrati o per i grassi.
In caso si tratti di un allenamento ad alto volume e medio/bassa intensità di carico, sarà opportuno prediligere come fonte energetica i glucidi, al contrario, in caso di allenamenti con lavori ad alta intensità di carico e volume medio/basso verranno utilizzati maggiormente i grassi a discapito dei carboidrati.
Ovviamente vi sono poi svariate sfaccettature rispetto all’allenamento e non solo questi due casi sopracitati.

CONCLUSIONE

Ora abbiamo un quadro generale di come ci si dovrebbe muovere per impostare una fase di surplus calorico nel migliore dei modi.
Queste sono ovviamente linee guida generali e non la solita pappa pronta della serie “allenati così e mangia così”, anche perché non sarebbe possibile proporre un percorso che possa andare bene per qualsiasi individuo visto che in questa disciplina la soggettività regna sovrana.
Quindi ora armatevi di carta e penna, programmate la vostra fase di costruzione e cominciate a pompare.