COME GENERARE IPERTROFIA MUSCOLARE

Dilemma attorno al quale ruota il mondo del culturismo, come sviluppare sempre più ipertrofia muscolare, che, per quanto ormai si conosca ampiamente la fisiologia umana, lascia ancora molti punti di domanda e quesiti irrisolti, per non parlare delle molteplici novità che vengono fuori giorno dopo giorno.

Per rendere possibile questo è necessario continuare a generare stimoli che inducano un adattamento, vedasi teoria della GAS (sindrome generale da adattamento).

OMEOSTASI E ADATTAMENTO CELLULARE

Il nostro organismo vive perennemente in uno stato di omeostasi, una sorta di equilibrio tra tutti i valori biologici e quando qualcuno di questi si altera mette in moto una serie di meccanismi compensatori per ritornare alla sua tanto amata omeostasi.

Come ad esempio quando mangiamo dei carboidrati e si ha un picco glicemico, il nostro organismo rilascia insulina nel circolo ematico, così che possa abbassarsi la glicemica (ecco perché i diabetici se assumono glucidi o elevate quote di protidi possono avere problemi se non somministrano una quantità di insulina esogena adeguata).

Questo avviene più e più volte durante la giornata ed è chiamato Stress Cellulare, ma solo in caso lo stress sia veramente elevato possiamo andare incontro ad un adattamento cellulare.

Ma cosa si intende per adattamento cellulare?

L’adattamento cellulare è la modificazione morfologica e fisiologica delle cellule in risposta alla nuova funzione e si tratta principalmente dell’ipertrofia.

Quando il nostro organismo va incontro ad uno stress o ad uno stimolo a cui non è in grado di adattarsi vi sono due possibilità, in caso sia lieve e transitorio si verifica un danno cellulare denominato reversibile, che come si evince dal nome è appunto possibile riportare allo stato iniziale, in caso contrario viene chiamato irreversibile e si verifica necrosi o apoptosi della cellula.

Infatti noi, quando ci alleniamo, andiamo a rompere, o perlomeno cerchiamo di farlo, l’equilibrio cellulare.

QUINDI QUALI STIMOLI PORTANO ALL’IPERTROFIA

Come già ampiamente scritto sopra, per generare ipertrofia è necessario creare uno stimoli che obblighi le cellule ad adattarsi e sono tre i fattori che permettono di generare ipertrofia:

-Stimolo meccanico

-Danno Muscolare

-Stimolo metabolico

STIMOLO MECCANICO

Partiamo dal primo fattore, nonché uno dei più rilevanti, ovvero lo stimolo meccanico, detto anche, tensione meccanica.
Questo si riferisce al carico utilizzo per allenarsi e sembra essere la chiave principale per l’ipertrofia, mi raccomando però, non confondiamo powerlifting con bodybuilding, nel primo caso, essendo il fine prettamente prestativo, il carico interno non sarà vicino a quello esterno, in quanto lo scopo non è sviluppare ipertrofia, ma spostare più kg possibili.

Questa puntualizzazione è importante perché, più kg solleverete e più ipertrofia genererete, ma è fondamentale che vi sia padronanza e percezione del carico, perché un conto è eseguire una panca piana spostando X kg anche con lo sfintere, un conto isolando il più possibile il petto.

Un carico importante permetterà quindi di generare sintesi proteica ed una progressione nel tempo permetterà di fornire nuovi stimoli che genereranno adattamenti portando ad altra ipertrofia.

DANNO MUSCOLARE

Il danno muscolare attiva la risposta immunitaria e si ha quando durante gli esercizi si formano piccole lesioni ai sarcomeri, le componenti cellulari del muscolo, questa è una lesione reversibile ed è ciò che porta ad avere i tanto conosciuti DOMS.
Molto curioso il fatto che ciò avvenga principalmente durante le fasi eccentriche.

L’attivazione della risposta immunitaria sopracitata da parte del danno muscolare, è dovuta al fatto che questo viene riconosciuto come un vero e proprio virus dal sistema immunitario e per il medesimo motivo mette in moto una difesa immunitaria aspecifica per eliminare gli elementi danneggiati, stimolando poi l’attivazione di cellule satelliti che aiutano nella riparazione del tessuto danneggiato per evitare la morte delle cellule.

Inoltre è stato scoperto che ciò porta all’incremento di ormoni anabolici circolanti e ad un incremento di acqua all’interno della cellula che porta ad un conseguente aumento della sintesi proteica.

Proprio per questo, anche se per ignoranza talvolta, sono tanto ricercati i DOMS.

STRESS METABOLICO

Lo stress metabolico invece concerne i metaboliti circolanti all’interno del nostro organismo generati dall’allenamento, più precisamente da contrazioni continue che vanno dai 15 ai 120 secondi.

Ci sono diversi modi con cui questo permette di generare ipertrofia, in primis permette di reclutare meglio le fibre muscolari e questo comporta una maggior attivazione ed un maggior scambio tra actina e miosina, eleva la risposta ormonale e provoca rigonfiamento cellulare.

Questo quindi non porta direttamente ad un aumento ipertrofico, in quanto non aumenta la sintesi proteica, bensì agisce indirettamente permettendolo tramite quanto citato sopra.

Ora che abbiamo un quadro chiaro di come funzioni tutto questo bisogna capire come mixare nel modo più opportuno gli stimoli, così da poter ottenere il massimo grazie ad un lavoro completo.
I parametri allenanti che andranno periodizzati nel macrociclo sono rispettivamente:

-Intensità

-Frequenza

-Recupero

-Volume

INTENSITÀ

Prima di parlare di intensità apriamo una piccola parentesi, perché purtroppo questo fattore talvolta viene frainteso erroneamente pensando ci si riferisca alle classiche tecniche come stripping, rest pause e compagnia bella…

In realtà, quando si parla di intensità si parla di ripetizioni, o meglio si dovrebbe parlare di carico allenante, ma supponendo si stia prendendo in considerazione un rpe10, anche le semplici ripetizioni sono sufficienti per darne un’idea, in quanto vanno a vincolare il carico da utilizzare.

Gli studi indicano che il range ideale di ripetizioni per generare ipertrofia va da 5 a 30 ripetizioni, range su cui concordo, in quanto ci permette di dare il tipo di stimolo che preferiamo in base al numero di ripetizioni che scegliamo di utilizzare.

Se desideriamo avere uno stimolo meccanico, stermo sulle 5/6 ripetizioni, se desideriamo maggior danno muscolare, in quel caso staremo sulle 10, mentre per quanto riguarda uno stimolo metabolico staremo sulle 20.

FREQUENZA

La frequenza di allenamento sta ad indicare il numero di volte a settimana in cui alleniamo un gruppo muscolare, solitamente viene consigliato di allenare ogni muscolo almeno due volte a settimana, in modo tale da non aver troppo volume durante una sessione, così che si possa gestire meglio l’allenamento.

La differenza sostanziale è questa, una miglior gestione dell’allenamento e a mio avviso, anche se dalle evidenze scientifiche non sono emersi benefici tangibili dall’eseguire il medesimo volume spalmato su una o più sedute, personalmente mi trovo in disaccordo, perché in realtà cambia, eccome!

Attivare la sintesi proteica solo una volta a settimana ha una resa totalmente differente da quella che ha nel caso venga stimolata due o più volte a settimana, pensiamoci….

Ci sono circa 48 settimane in un anno, se io alleno il muscolo X una volta a settimana, in un anno avrò attivato la sintesi proteica per quel gruppo muscolare 48 volte, al contrario, se lo alleno due volte, già si va a parlare di 96 volte in un anno, il doppio!

RECUPERO

Per quanto riguarda il recupero viene consigliato dagli studi più recenti di mantenere circa 90/120” di recupero per serie tra le 8 e le 12 ripetizioni, mentre viene consigliato di stare sui 3 minuti per serie a basse ripetizioni.

Su questo sono parzialmente d’accordo perché sì, nella maggior parte dei casi questo schema è corretto ed applicabile senza problemi, ma in caso decidessimo di eseguire un lavoro ad alta densità/volume, come ad esempio dei 6×6 con un minuto di pausa?
Ovviamente il carico non sarebbe il medesimo utilizzabile con 3 minuti di rest ed il lavoro sarebbe totalmente differente, soprattutto considerando che così si avrebbe anche un buon carico rispetto a quelli che solitamente è possibile utilizzare con alto volume/densità.

VOLUME

Arriviamo ora al volume, uno degli argomenti più dibattuti ed in cui ognuno lotta per dire la sua, da chi si erge a paladino del basso volume a chi dell’alto volume e come al solito a me piace stare nel mezzo da bravo ignavo e dire che entrambi sono molto utili, a seconda di come è stata impostata la nostra programmazione sul macrociclo.

È opportuno come sempre cercare di regalare nuovi stimoli al nostro corpo e quindi anche apportare cambi di volume durante la programmazione in favore o sfavore di intensità e densità è fondamentale perché si possa generare ipertrofia.

Detto ciò vediamo come calcolare il volume, i modi sono molteplici, purtroppo mi limiterà a quello più semplice che purtroppo però è anche quello più incompleto, perché si limita a considerare le serie totali nella settimana, nonostante le ripetizioni influiscano anch’esse sul volume ed anche il carico utilizzato ha una rilevanza non indifferente.

Molti preparatori oltre oceano famosi tra cui Helms e Israetel, consigliano di stare intorno alle 20 serie a settimana per gruppo muscolare, però ok, nella maggior parte dei casi può andare bene, ma ricordiamoci che ci sono molti soggetti diversi da quella che è la normale concezione del classico utente in sala pesi e che quindi necessitano anche di più o meno volume in rapporto alla risposta che quel gruppo muscolare ha, nel mio caso ad esempio sto utilizzando sui femorali un volume di 5 serie a settimana di stacchi gambe semitese con tut fluido a reps medie.
Secondo quanto appena detto non sarebbe adeguato, ma io in questo caso per me è sufficiente questo stimolo per quanto irrisorio per ottenere dei miglioramenti.

Oltre questo vanno considerati altri fattori come l’intensità utilizzata, mettiamo caso che per le 20 serie indicate sopra si parli di 20 serie portare a cedimento, se andassi ad eseguirle in buffer invece la quantità di volume necessaria/tollerabile crescerebbe in maniera repentina, oltre questo vanno considerati gli esercizi che decidiamo di utilizzare, perché se prendiamo in considerazione ad esempio uno squat ed una leg extension a parità di volume ed intensità, la leg extension non avrà mai l’impatto dello squat a livello globale.

Oltretutto andrebbero poi considerati anche i muscoli accessori che intervengono, prendiamo come caso lo squat, ok, X serie per i quadricipiti, ma femorali, glutei, erettori spinali e non solo intervengono durante l’alzata, quindi oggettivamente come lo considero il lavoro su di loro?

Per non parlare poi di chi si approccia al programma, la risposta sarà totalmente differente da soggetto a soggetto in rapporto al lavoro svolto, in quanto il feeling col programma sarà differente a seconda di chi si trova a doverlo affrontare.

CONCLUSIONI

Questi sono i fattori che portano a generare ipertrofia, è importante conoscerli per capire come agire nel migliore dei modi per arrivare al risultato desiderato, ora avete qualche mezzo in più per capire come poter operare nel caso doveste redigere un programma di allenamento.

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FASE DI SCARICO, COME, QUANDO E PERCHè?

È ormai ben noto con le attuali evidenze scientifiche, che l’ipertrofia è influenzata da tre parametri quali: Intensità, densità e volume.
Quest’ultimo è il più importante ma non l’unico fattore da tenere in considerazione, semplicemente è quello che influenza maggiormente i risultati che si andranno ad ottenere.

Conoscete la supercompensazione?
La supercompensazione è la capacità del corpo di sopperire ad uno stimolo esterno, generando adattamenti che lo portino ad “evolversi” in senso positivo, verso lo stimolo ricevuto.
Sostanzialmente ciò che viene spiegato dalla GAS, sindrome generale da adattamento.
Il corpo riceve uno stimolo, mette in atto dei meccanismi compensatori ed infine si adatta.

Infatti, all’aumentare del volume avremo anche un aumento di performance ed eventualmente anche ipertrofia muscolare.
Il problema però è che non si può aumentare il volume all’infinito (anche per questo ci sono altri due fattori su cui agire), in quanto, una volta superato un certo limite, il corpo non sarà più in grado di adattarsi e cadrà nell’overeaching, o ancora peggio nell’overtraining.
L’overeaching è la fase che si verifica prima dell’overtraining ed è proprio in questo caso che entra in gioco la famosa “fase di scarico”.

A COSA SERVE LA FASE DI SCARICO E COME FUNZIONA?

La fase di scarico permetterà al corpo di recuperare e riequilibrare tutti i meccanismi endocrini di risposta agli stimoli allenanti per poter ripartire a svolgere i propri allenamenti al meglio.

Lo scarico può essere attivo o passivo:

  • scarico attivo: è quello che più viene usato e consiste in una diminuzione di volume e/o intensità e/o frequenza degli stimoli allenanti. La diminuzione non si può quantificare, verrà adattata al soggetto in base al suo stato e alle sue capacità di recupero ma in genere, per comodità, si prende come riferimento il micro ciclo settimanale.
  • Scarico passivo: consiste nella sospensione totale degli stimoli allenanti. Si può attuare più raramente e in genere viene consigliata soprattutto a seguito di infortuni o gravi stati di sovrallenamento.

QUANDO SCARICARE?

Durante la programmazione può capitare e anzi, dovrebbe succedere più volte di entrare nella fase di overeaching (step precedente all’overtraining), mentre è ben difficile andare in overtraining, quindi non iniziate a deallenarvi pensando di fare troppo, nella maggior parte dei casi non vi è nemmeno la capacità di esprimere abbastanza intensità da finire in overeaching anche con frequenza e volume fuori dalla norma.

Teniamo anche in considerazione che prima di entrare in overtraining, nella fase di overeaching, il corpo quasi ci imporrà di fermarci mandandoci diversi segnali tra cui:

  • stallo o diminuzione della performance
  • stanchezza cronica
  • insonnia
  • dolori articolari
  • perdita di appetito
  • bassa autostima e bassa motivazione di allenamento
  • perdita di concentrazione durante le attività giornaliere o durante l’allenamento

In questi casi però continuare a stressare il corpo sarà controproducente, quindi non proseguite imperterriti come dei panzer in guerra ad avanzare prima di far danni seri.

Tutto questo infatti si risolve facilmente inserendo la settimana scarico che bene o male qualsiasi sportivo odia perché ritenuta noiosa, infatti l’idea migliore sarebbe farla coincidere con periodi di vacanza, oppure in periodi in cui vi è molto lavoro, in modo tale da distrarsi dalla riduzione degli gli allenamenti e concentrarsi su altro.

Sarebbe anche opportuno magari sfruttare degli scarichi attivi per lavorare sulla tecnica, o effettuare lavori posturali, o di propriocezione, in modo da rendere comunque proficuo questo breve periodo che però talvolta è obbligato.

Può però capitare, in caso di sovrallenamento, visto il tempo che richiede per recuperare, o in caso di infortuni, che lo scarico possa durare per periodi relativamente lunghi, ma non c’è da preoccuparsi…

Anche qui la scienza viene in nostro soccorso: 14 soggetti sono stati divisi in due gruppi, un gruppo si è allenato senza stop per 24 settimane, l’altro gruppo ha fatto uno stop di 3 settimane ogni 6 di allenamento, sempre per un totale di 24 settimane.

Alla fine dei 6 mesi i risultati in termini ipertrofici risultarono uguali (qui l’articolo https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/23053130/)

Il mio consiglio quindi è di porre attenzione e di pianificare attentamente il periodo di scarico, sapendo che fa parte anche esso della periodizzazione e tanto più il livello di performance è alto, tanto più è indispensabile.

CONCLUSIONI

Lo scarico è una carta da giocare molto utile per poter continuare a progredire se utilizzato con cognizione di causa quando vi è realmente necessità, non deve necessariamente essere svolto con cadenza regolare, bensì quando se ne sente il bisogno.
Sicuramente su utenti novizi ed in parte intermedi lo scarico verrà effettuato di rado, in quanto comunque, la necessità nasce da un richiesta del nostro organismo di recuperare e se chi si allena non è in grado di esprimere un’intensità adeguata, difficilmente arriverà anche solo vicino all’overeaching.
Non va visto come qualcosa di noioso, bensì un modo per poter progredire sempre di più.

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POCO TEMPO PER ALLENARSI? NESSUN PROBLEMA

Quante volte capita di ritrovarsi oberati dagli impegni e non aver tempo sufficiente da dedicare all’allenamento?
Considerando che le persone che possono permettersi di vivere di questa disciplina non sono molte, è un qualcosa che capita abbastanza di frequente.

Questo però non implica che non ci si possa allenare comunque come si deve anche con meno a tempo a disposizione, tutto è possibile se l’allenamento viene strutturato con cognizione di causa tenendo conto di ciò.
Se pensiamo alle molteplici possibilità che ci si parano di fronte durante una stesura di un protocollo di allenamento, ci possiamo rendere conto che sono così tante che è impossibile non riuscire a costruire qualcosa di adatto a qualsiasi caso.

Piccola premessa però ragazzi, ovviamente un minimo di tempo va comunque dedicato a questa disciplina e se non siete minimamente disposti ad impiegare parte del tempo libero a disposizione, non potete pretendere molto, come si suol dire non è possibile avere sia la botte piena che la moglie ubriaca, per cui, salvo per quei rarissimi casi in cui non vi è realmente il tempo necessario, se non trovate nemmeno 4/5 ore totali a settimana per allenarvi piuttosto fate altro.
Dico ciò non perché io sia severo/nazista, semplicemente perché chiunque ha a disposizione una quantità di tempo così irrisoria se non di più, in caso contrario semplicemente è perché manca la voglia e non il tempo e se vi allenate perché dovete farlo e non perché vi piace farlo lasciate perdere, non otterrete sicuramente ciò che sperate.

Torniamo a noi ora, come già detto, andare a redigere un allenamento efficace con tempistiche considerabili “brevi” non è assolutamente un problema e talvolta può essere fondamentale.
Ovviamente perché se il tempo non c’è non c’è, pochi cazzi, ma in altri casi, quando magari si hanno anche un po’ più ore a disposizione delle 4/5 citate prima, se quelle extra sono poche, sarà controproducente utilizzare degli allenamenti che richiedono molto tempo.

Questo perché, anche se a tempistiche riusciamo ad incastrare al secondo tutti gli impegni con le sedute in sala pesi, come potremo mai allenarci bene se la testa è ovunque fuorchè nel posto in cui deve essere quando ci si allena?
Passare la seduta in sala pesi a pensare a quanto manca alla fine dell’allenamento, al fatto che dopo dovremmo correre nel posto X, che se capita qualche intoppo rischiamo di non terminare l’allenamento mette angoscia.
Se la testa non è libera quando ci si allena, le sedute non potranno mai essere qualitative, perché è la testa che fa sì che un allenamento possa essere produttivo o meno e se non è il focus primario quando siamo in palestra, non possiamo sperare di andare molto lontano.

COME POSSO CONSIDERARE UN ALLENAMENTO VALIDO?

Possiamo avere in mano il programma perfetto, ma se le circostanze non ce lo permettono non possiamo sperare di arrivare a nulla di concreto, anche se fosse il programma con cui potresti vincere il mr.O.

Per avere un allenamento valido prima di tutto è fondamentale il focus in sala pesi, durante l’allenamento devi sapere cosa stai facendo, percepire il lavoro muscolare, essere in grado di “vivere” il programma.

Non bisogna mai passare di serie in serie in modo sterile, bensì visualizzare e focalizzarsi sul programma ancora prima di cominciare.

Un altro fattore molto importante è la concentrazione durante l’allenamento, quando comincia la seduta la testa deve essere sgombera e concentrata solo su quello che devi fare.
Tanto una volta terminata la seduta, ciò che era lì prima lo ritroverete al medesimo posto dopo e poi come credete di poter allenarvi al meglio se nella testa avete tutto fuochè il vostro allenamento?

Ultimo ma non per importanza, TI DEVE PIACERE CIÒ CHE FAI, l’allenamento deve comprendere il lato ludico ed il programma deve essere strutturato in modo che ti prenda e diverta, in caso contrario le opzioni sono due, o il programma non fa per te, o forse devi dedicarti ad altro.
Ricorda quanto detto sopra, “se lo fai perché devi meglio non farlo”, tanto non si conclude nulla.

COME IMPOSTARE UN ALLENAMENTO BREVE ED EFFICACE

Fatta questa piccola introduzione arriviamo ora al punto saliente del discorso, come deve essere un programma di allenamento se breve, per poterlo considerare efficace?

Prima di tutto deve comunque poter dare uno stimolo completo e globale nonostante la minor “mole di lavoro” a cui si va incontro.

Una volta compreso ciò il secondo passo è la gestione del volume, dei TUT nelle serie, dei recuperi e delle tecniche di intensità, questo sempre per poter recuperare altri minuti preziosi.

Questo perché tutti i fattori sopracitati, in base a come vengono utilizzati, possono cambiare totalmente il tempo impiegato per effettuare la stessa mole di lavoro.
Un esempio per rendere l’idea:

Vi porto il caso di Davide Pisati, o Dave The Chemist per chi lo conoscesse da instagram, attualmente visti i vari impegni universitari, la sua dolce metà e la famiglia, il tempo a disposizione non è moltissimo giustamente.

Vi posterò sotto il suo allenamento attuale spingandovelo in base a quanto detto sopra.

Attualmente stiamo utilizzando un P.H.A.T. con qualche sfumatura da Hatfield, POF per citare qualche metodologia, come faceva Bruce Lee, prendiamo il meglio da qualsiasi approccio a rendiamolo nostro.

Piccola premessa, questo programma è stato redatto tenendo in considerazione le problematiche presenti a livello strutturale, per capirci meglio, dolori vari alle articolazioni e oltretutto il programma è tarato totalmente su Davide, quindi liberissimi per chi pensa sia furbo di copiarlo ed eseguirlo (lo avessi ritenuto un problema non lo avrei condiviso), ricordatevi però che molto probabilmente per voi sarebbe più utile qualcosa di totalmente diverso, anche perché come ho scritto sopra che ci sono problematiche, ma non ho scritto precisamente di cosa si tratti eh eh….

Il programma è così diviso:

-Una prima seduta di upper con stimolo meccanico, in cui abbiamo impostato delle progressioni sui multiarticolari ed inserito delle serie canoniche sugli accessori, prediligendo sempre esercizi che ponessero il muscolo ad un allugamento ideale così da poter esprimere il massimo della propria forza e propedeutici agli esercizi su cui abbiamo impostato le progressioni, questo perché appunto il primo giorno è incentrato sui lavori di “forza”.

-La seconda seduta è una seduta di lower sempre improntata sulla ricerca dello stimolo meccanico, molto simile a quella della prima seduta di upper.

-Per concludere, la terza seduta è una seduta full body con TUT più adatti all’ipertrofia, parlo di tut e non di ripetizioni perché è il tempo sotto tensione a condizionare il carico e 10 reps con TUT 1-0-1-0, non permettono di utilizzare il medesimo carico che avremmo su 10 reps con TUT 3-1-1-0.
In questa seduta siamo andati ad utilizzare dei jump set per risparmiare tempo ed abbiamo utilizzato esercizi che andassero a dare enfasi alle porzioni di ROM “meno coinvolte” nelle due sessioni precedenti, cercando di non discostarci troppo dagli schemi motori utilizzati, così che fosse più semplice perfezionare il gesto.
L’ausilio di TUT più lunghi oltre i jump set, permettono di accumulare molto più lavoro in un lasso di tempo minore rispetto ad un numero di serie maggiori.

A tutto ciò, per concludere in bellezza, possiamo aggiungere la scelta degli esercizi, è vero che i primi due giorni abbiamo utilizzato esercizi con schemi motori complessi e range di ripetizioni che richiedono molto tempo prima di essere pronti per le serie, ma con questo approccio è stato quasi obbligato e comunque l’ultimo giorno andiamo a recuperare tranquillamente il volume mancante, riuscendo così a dare un lavoro adeguato.
Però, il terzo giorno, la scelta di ripetizioni, TUT, esercizi ed anche la disposizione è stata impostata in modo tale da non dover perdere troppo tempo nelle serie di avvicinamento al carico allenante.
Anche questa è un’arma da non sottovalutare in questi casi, riuscire a ridurre il tempo necessario a scaldarsi permette di guadagnarne molto che è poi spendile in qualche serie extra.

CONCLUSIONI

In queste poche righe, oltre a darvi qualche informazione/spunto utile su come muoversi quando si ha poco tempo a disposizione, ci tenevo più che altro a sottolineare quanto sia importante la presenza di un allenamento cucito su misura per poter ottenere risultati tangibili.
Fare questo è sicuramente impegnativo come avete visto, per non considerare come già accennato che oltre a ciò in questo caso abbiamo dovuto tener conto delle problematiche articolari di Dave, ma vi assicuro che vi ripagherà a pieno quando vedrete i vostri ragazzi felici nell’allenarsi e soddisfatti dei loro risultati.

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QUANTO ANDREBBE TENUTO UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO?

“Coach, è finita la scheda, dobbiamo cambiarla”, la classica frase che si sente quando è il momento di procedere col nuovo protocollo, però è realmente finita la scheda quando viene cambiata?

Sì, so che questa domanda suonerà strana ma ha un suo perché….

È vero che su ogni protocollo troviamo una data della teorica fine di questo, ma una volta arrivato il fatidico giorno bisognerebbe “sedersi” e riflettere se davvero il protocollo è stato spremuto a dovere e purtroppo la maggior parte delle volte non è così.

Un protocollo non finisce quando arriva la data di fine riportata sul programma, un protocollo finisce quando abbiamo carpito e spremuto ogni singola sfaccettatura da esso, ogni singolo esercizio, in ogni singola serie, solo allora andrebbe cambiato.

Vedo di spiegarmi meglio, quando iniziamo un nuovo programma di allenamento, nel tempo riusciamo, bene o male, a progredire con le ripetizioni e coi carichi, fino a che non arriviamo ad uno stallo…

Ecco, solo in quel caso andrebbe cambiato un programma, perché farlo altrimenti?

GAS

Per chi non lo sapesse, dico ciò, perché il principio che sta alla base dell’ipertrofia è la presenza di uno stimolo progressivo nel tempo su intensità, densità e volume, questo per via della GAS (general adaptation syndrome).

Per chi non lo sapesse, la GAS è un insieme di fasi legate ad un processo che ha come fine la sopravvivenza, avete presente il funzionamento del comportamento attacco/fuga?
Ecco, si tratta del processo legato ad esso, sostanzialmente va a descrivere l’adattamento degli organismi viventi agli stress, cioè stimoli esterni che disturbano il loro equilibrio interno…
Questo avviene in tre fasi:

Prima fase, allarme:

Questa fase si attiva quando si riceve uno stimolo esterno che porta ad un forte picco di stress, durante la quale si liberano già i mediatori chimici della fase cronica (Resistenza).
Le conseguenze sono un aumentato stato di allerta e può innescare circoli viziosi di rinforzo per condizionamento dell’esperienza memorizzata e ciò porta ad un decremento dell’energia per le 6/48 ore successive.

Seconda fase, resistenza:

La Fase di Resistenza comincia circa dopo 48 ore, potenzia e mantiene nel tempo la risposta immunologica ed ormonale stress correlata, fino al raggiungimento del superamento del limite di resilienza del Sistema, la cui durata è direttamente proporzionale allo stress “subito”, detta fase di…

Terza fase, esaurimento:

La fase di esaurimento si verifica nel caso in cui il corpo venga costantemente sottoposto a stimoli e non riesca a recuperare.

Prendiamo come esempio una semplice abbronzatura…

Ci sdraiamo al sole per un breve lasso di tempo e continuando a farlo in maniera graduale, pian piano la nostra pelle varierà pigmentazione, portandoci ad assumere quel colorito olivastro che tanto ci piace.

Se però dovessimo esporci al sole per troppo tempo, arriveremmo ad ustionarci o beccarci un bell’eritema solare e se lo sfregamento fosse eccessivo si formerebbe un’ulcerazione sulla pelle.

Questo perché se con piccoli stimoli a cui il corpo può sopperire con la fase di resistenza otteniamo il colore che vogliamo, con stimoli troppo forti, otterremo un effetto indesiderato, che nel caso dell’allenamento si traduce in overreaching o overtraining.

Quindi, come nel bodybuilding, il bilanciere che ci schiaccia è lo stimolo e la risposta ipertrofica è l’adattamento, pertanto è importante che al bilanciere venga applicata una progressione, così che possa generarsi sempre nuova ipertrofia.

QUANDO SI PUÒ RITENERE PORTATO A TERMINE UN PROTOCOLLO DI ALLENAMENTO?

Ora che abbiamo compreso cosa permette di generare ipertrofia, sarà anche più chiaro perché non andrebbe impostata una data di scadenza per un determinato programma di allenamento.

Questo perché, finchè vi è margine di progressione, è un peccato cambiare protocollo di allenamento, visto che comunque lo stimolo progressivo è presente e si continua a migliorare, passare prematuramente ad un altro protocollo farebbe sì che buona parte di ciò che si sarebbe potuto ottenere da quegli allenamenti venga buttato nel gabinetto, un po’ come quando si mangia del formaggio, se non si taglia a dovere la crosta ne viene buttato via tantissimo.

Prendo come esempio me stesso, talvolta sono arrivato a mantenere un protocollo di allenamento anche per più di 4 mesi visto che continuavo a progredire, o basti pensare anche solo a Dorian Yates, nome mille volte più illustre e attendibile del mio, che era solito seguire il medesimo protocollo fino anche a 6 mesi,
A detta sua si riscopriva in ogni allenamento, arrivando sempre un gradino sopra.

Ovviamente questi sono estremismi, ma rendono bene l’idea, in ambito natural sicuramente il margine di miglioramento con carichi e/o ripetizioni nello stesso protocollo non sarà così ampio per ovvi motivi, ma sicuramente c’è la possibilità di mantenere più di quanto viene solitamente fatto lo stesso allenamento.

CONCLUSIONI

In conclusione, non abbiate fretta di passare al programma successivo, spremete a fondo quello che avete, spremetelo accanendovi sui pesi come fossero il vostro peggior nemico, cercate ogni volta di alzare anche solo di una ripetizione sul totale, di migliorare il controllo, il feeling, dovete riscoprirvi e scoprire qualcosa di nuovo ad ogni allenamento, solo allora potrà considerarsi portato a termine il programma.

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FORZA E BODYBUILDING, come e perchè allenarla

“Forza”, è un termine molto comune e bene o male sulla bocca di tutti, assumendo però differenti connotazioni in base all’ambito in cui viene trattata, basti pensare alla fisica che definisce la FORZA come massa x accelerazione.

La reale definizione di forza in ambito sportivo però è la seguente:

“La FORZA è una capacità condizionale, ovvero una capacità che necessita di essere condizionata (allenata) con continuità per far sì che si migliori o si mantenga nel tempo.
Le capacità condizionali, dipendono principalmente dalle qualità dell’apparato locomotore e dai processi fisiologici di produzione dell’energia. “

Così direi che abbiamo un quadro sicuramente ben più chiaro di cosa sia la forza in ambito sportivo, perché aimè sì, purtroppo col termine forza non si intende semplicemente spostare più kg dato che può assumere differenti connotazioni.
Infatti abbiamo più tipologie di forza in campo sportivo:

Forza massimale: Questa sta indicare il massimo carico mosso per una ripetizione, indipendentemente dal tempo impiegato.

Forza esplosiva: Questa si riferisce al massimo carico mosso nel minor lasso di tempo possibile.

Forza resistente: Questa indica il massimo tempo in cui un muscolo riesce a rimanere contratto e quindi il numero massimo di ripetizioni eseguibili per il muscolo target.

Infatti, visto che cambia la differenza in termini di prestazione, cambia anche la tipologia di allenamento per questi tre tipi di forza, oltre le discipline in cui vengono ricercate.
Infatti nel bodybuilding sicuramente le prime due tipologie di forza, soprattutto quella esplosiva, avranno un ruolo marginale, basti pensare ai range di ripetizioni ed i TUT mediamente utilizzati nelle sedute di allenamento.

Le prime due tipologie di forza sono più ricollegabili ad altre discipline, come ad esempio:

-Atletica: in cui un aumento della forza permette di avere maggiori prestazioni.

-Pesistica olimpica: in cui abbiamo la massima espressione di forza esplosiva, perché si, sempre di allenamento con i sovraccarichi si parla, ma pensiamo alla rapidità che questi atleti devono dimostrare quando vanno ad “infilarsi” sotto 200kg nello strappo.

-Powerlifting: in cui si ricerca prettamente la forza massimale, in quanto lo scopo della disciplina è aumentare i proprio carichi nelle tre grandi alzate, stacco, squat e panca.

ALLENARE LA FORZA

Tornando a parlare di bodybuilding l’allenamento della forza inteso sia come forza resistente, che massimale, è parte integrante di questa disciplina nonostante il fine ultimo sia un altro, l’ipertrofia.

Questo perché allenare la forza, non solo riduce il rischio infortuni e migliora la padronanza del pattern motorio, ma permette di manovrare carichi sicuramente più elevati, i quali porteranno ad una maggior tensione, che si tradurrà in maggiore stress generato dalle strutture coinvolte e di conseguenza maggiori guadagni ipertrofici.

Come già detto però, la forza non è il fine ma un mezzo per avvicinarci più rapidamente al nostro obiettivo e quindi sarà inutile cercare di lavorare con un 1RM, oltre ad un maggior rischio infortuni.
È ben risaputo che il range di ripetizioni più proficuo per l’ipertrofia è ben lontano dal numero “1”.
Sarà sicuramente più utile cercare di progredire coi carichi nei range di ripetizioni appunto, più proficui per l’ipertrofia.

Il tipo di allenamento da eseguire però non è mai uguale, nonostante lo scopo sia quello comune a chiunque pratichi questa disciplina, in quanto, come per ogni singolo aspetto in questo ambito, la soggettività fa da padrone.

Dipende in primis dalla livello del soggetto e poi dalla fase della programmazione in cui ci si trova, ad esempio su un soggetto avanzato in pre gara sicuramente non andremo a lavorare a basse reps con multiarticolari ricercando una progressione sui carichi, sarebbe bello se fosse possibile, ma ad un mese dalle gare, è già tanto aver mantenuto i carichi invariati, sperare di aumentarli è una chimera, a meno che il soggetto in questione non sia “grasso” per una gara, in quel caso sicuramente non ci saranno problemi.

Andiamo per gradi e proviamo ad analizzare le differenti fasi in cui ci si può trovare, vi dirò come io sono solito agire.

PRINCIPIANTI

Quando si tratta di principianti, bene o male la progressione è molto semplice da mettere in atto, soprattutto con chi è proprio all’inizio, in quel caso, anche senza impostare nulla, se ha un po’ di carattere e “spinge”, si verificherà un rapidissimo aumento nei carichi.
Quando invece si tratta di utenti, sempre considerabili principianti, ma sicuramente più navigati, iniziare ad utilizzare un semplice piramidale ponendo il vincolo di portare a cedimento solo l’ultima serie, cercando di superare col carico della volta precedente di almeno una ripetizione quelle target, per poi ripartire dalle stesse con un leggero aumento di carico, sortirà senza problemi l’effetto sperato, oppure anche un semplice ramping potrebbe portare al medesimo risultato.

Ovviamente non sono gli unici tipi di lavori presente, volendo si possono impostare anche delle progressioni come queste ad esempio:

Scegliamo di eseguire 6 serie da 3 ripetizioni utilizzando le seguenti percentuali calcolate sull’ 1 RM

settimana          1             2             3                4               5             6

panca piana     85%   –   70%   –   87.5%   –   72.5%   –   90%   –   75%

rematore          70%   –   85%   –   72.5%   –   87.5%   –   75%   –   90%

In questo caso avrò giorni di carico e giorni di scarico, questo per permettere un aumento graduale nel tempo, in quanto, i giorni di lavoro in buffer saranno un’ottima occasione per migliorare la tecnica e si dovrà appunto cercare di essere manicali in questo caso, proprio perché andando a migliorare la tecnica ci sarà anche un netto miglioramento dei carichi.
È importante ricordare che la forza è un’abilità e come tale va allenata.

Questi sono solo alcuni esempi per darvi un’idea della tipologia di lavori che si possono svolgere coi principianti per ricercare degli aumenti di carico.

INTERMEDI E AVANZATI

In caso di intermedi o avanzati, sono solito invece far utilizzare progressioni, sì piuttosto semplici da impostare, ma ben più complesse da gestire per chi le va ad eseguire, in quanto sfruttano gli RPE, ovvero una scala da 1 a 10 per l’autoregolazione basata sull’intensità percepita.
Il motivo per cui sono solito evitare di proporle anche ai principianti, è semplicemente perché autoregolarsi in maniera corretta è veramente complesso, capita spesso infatti di imbattersi in soggetti che convinti di aver protratto una serie fino al cedimento, in realtà hanno ancora una o più ripetizioni “in canna”, oppure l’opposto, ovvero soggetti che non riescono a fermarsi prima di arrivare ad un rpe10, nonostante magari sul protocollo fosse riportato un rpe 8 o 9.

Quando si tratta invece di intermedi o avanzati, questo problema difficilmente si presenta ed anzi, l’autoregolazione è sicuramente il modo migliore con cui lavorare, in quanto non sempre si è “in forma” e pieni di energie, così facendo, con l’ausilio degli RPE, risulta nettamente più semplice regolarsi in base al proprio stato fisico, piuttosto che lavorare con carichi già preimpostati.

Un esempio di progressione potrebbe essere il seguente:

Panca piana 5×5 primi tre set rpe8, quarto set rpe9, ultimo set rpe10 lavorando con un 7-8 RM

Cerca di aumentare di una a due ripetizioni a settimana a parità di carico ed una volta che superi le 5 ripetizioni nell’ultimo set, aumenta il carico del 2/4% e riparti.

Questo è un esempio di una progressione tanto semplice quanto funzionale, ovvio non si potrà progredire all’infinito, ma sicuramente si riuscirà ad aumentare il carico spostato inizialmente, perché funzionino è però fondamentale rispettare gli rpe, pena, cuocersi prima del dovuto.

Ovviamente qui vedete solo un esempio, nei programmi sono solito utilizzare più progressioni basate su range di ripetizioni differenti, alternandole durante la settimana.

CONCLUSIONE

La forza è un’abilità e come tale va allenata, in quanto padroneggiare carichi maggiori a parità di TUT permetterà di generare maggior tensione meccanica che si tradurrà in maggiori guadagni ipertrofici.
È però importante ricordarsi che pratichiamo bodybuilding e di conseguenza la forza deve rimanere un mezzo e non diventare il fine ultimo.

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CHEATING, BISOGNA APPRENDERLO PER APPLICARLO.

In questo articolo non voglio propinarvi la solita minestrina riscaldata, in cui vi vado a dire che il cheating è utile per chiudere la serie a patto che il resto sia tecnicamente ottimale, bensì, voglio parlarvi del cheating in maniera differente, mostrandovelo per quello che davvero è, ovvero pura tecnica, senza relegarlo al semplice esaurimento muscolare a fine serie, ma andiamo per gradi…

COS’È E QUANDO SI USA SOLITAMENTE IL CHEATING?

Prima di parlarvene per come a mio avviso andrebbe visto il cheating oltre la classica visione dell’immaginario comune, volevo dare una breve spiegazione di cosa si tratta e quando normalmente viene utilizzato, per chi non lo conoscesse, quindi siete pure liberi di saltare questo paragrafo nel caso…

Il cheating è una tecnica allenante che prevede lo sfruttamento della forza di inerzia tramite movimenti compensatori, quali: slanci e flesso/estensioni delle articolazioni, per ridurre la tensione che il carico va a generare.
Questo è possibile grazie al passaggio da un lavoro muscolo centrico, (con focus primario sulla contrazione muscolare) ad un lavoro carico centrico, (focus primario sullo spostare il carico da punto X a punto Y senza curarsi della contrazione muscolare), per farvi un esempio, avete presente quando vedete gli utenti in sala pesi che mentre eseguono il curl col bilanciare, oscillano avanti e indietro come dei furetti in preda ad una crisi epilettica?
Ecco, quello è considerabile cheating…

La parola cheating infatti, deriva dal termine inglese cheat, letteralmente barare/imbrogliare, visto che oggettivamente mentre lo eseguiamo andiamo a barare sporcando la tecnica per spostare più kg o eseguire più ripetizioni.

Il cheating però va applicato con cognizione di causa e parsimonia, in quanto, un uso intelligente di questa tecnica, prevede che venga sfruttata solo in contesti idonei.

Considerando che nel bodybuilding l’allenamento è sempre muscolo centrico e mai carico centrico, viene da sé, come applicarlo su tutte le ripetizioni e tutte le serie porterebbe, oltre ad un gran sovraccarico a livello strutturale inutile, anche ad un lavoro irrisorio muscolarmente parlando, in quanto appunto il lavoro non sarebbe più focalizzato sul muscolo target della serie, bensì, disperso su molti altri gruppi muscolari, quindi, prendendo sempre come esempio il curl con bilanciere, se utilizzassimo 40kg, trattandosi di una serie con solo cheating ci ritroveremmo ad avere un lavoro irrisorio sui bicipiti, che risulterebbe invece nettamente superiore se eseguissimo la medesima serie con 10kg in meno ed una tecnica corretta.

Il cheating ha senso se utilizzato e mi raccomando, non sempre, per riuscire a strappare una o due ripetizioni in più al termine di una serie, una volta raggiunto il cedimento tecnico, a patto che questa sia eseguita con una tecnica corretta.

Mi raccomando però, è una tecnica assolutamente da evitare coi novizi, in quanto è prima necessario apprendere e consolidare la tecnica di base dei vari esercizi, altrimenti, ciò porterà ad errori grossolani, che consolidandosi nel tempo sarà dura correggere.

ORA VI PARLO DI COSA INTENDO IO PER CHEATING

Bene ragazzi, adesso che abbiamo fatto il solito appunto generale, trito e ritrito sul cheating, che per carità, non è scorretto, ma sempre della solita minestra si tratta, volevo portarvi qualcosa in più derivante dalla mia esperienza in sala pesi in questi due anni di collaborazione con Marcello Del Fitto, mio attuale coach insieme a Davide Pisati, Dave the chemist per chi lo conosce solo tramite instagram.

Facciamo una piccola premessa inerente al “diagramma di forza” che ogni esercizio, in maniera differente, presenta.
Questo serve a mostrare la tensione durante tutto l’arco di movimento in cui muscolo lavora attivamente e non è mai uniforme aimè, avremo sempre punti in cui la tensione è maggiore ed altri in cui è minore.

Infatti, anche se in maniera nettamente inferiore, qualsivoglia esercizio decidiamo di eseguire, la tensione darà l’idea di quella generata dalle contrazioni auxtoniche, che solitamente vengono attribuite agli elastici.
Questo perché, se proviamo ad eseguire un’alzata laterale o un curl con bilanciere, con un elastico, avremo un cambio di tensione durante l’arco di movimento che andremo ad eseguire davvero repentino, quasi come passare da 0 a 1000 in pochi cm.
Tutto ciò avviene anche con i normali esercizi con sovraccarichi, infatti è errato attribuire il titolo di contrazioni auxotoniche solo a lavori con elastici a mio avviso, ma questo è un argomento a parte e non voglio dilungarmi oltre, però penso abbia reso l’idea…

Fateci caso, in tutti gli esercizi abbiamo delle porzioni di ROM in percepiamo una tensione maggior, per esempio in un curl con bilanciere, o in un hack squat la maggior tensione la si può percepire all’inizio della fase concentrica, mentre in un rematore con manubrio, o in un’alzata laterale, la porzione più ostica del movimento da svolgere sarà la porzione finale della fase concentrica.

In alcuni esercizi questa differenza nelle varie porzioni di ROM è maggiore rispetto ad altri, se ci facciamo caso, in buona parte delle tirate per il dorso questa differenza è veramente elevata e anzi, sono proprio quelle in cui ciò avviene più di frequente.
Prendiamo come esempio un classico rematore con manubrio, o un pendlay row, la parte finale della fase concentrica risulta veramente ostica se paragonata alle prime porzioni di ROM in cui, a parità di carico, sembra quasi di irrisoria.

È proprio qui che volevo arrivare, in questi esercizi in cui vi è una variazione piuttosto repentina di tensione, quali buona parte delle tirate per il dorso e pochi altri come le alzate laterali, il cheating potrebbe e anzi, dovrebbe, prendere parte all’intera serie, diventando per l’appunto parte integrante di quella che viene considerata tecnica di esecuzione corretta.

Vi starete chiedendo il “perché?” immagino visto quanto scritto nel paragrafo precedente, beh, perché in questo caso il cheating non sarebbe più mero utilizzo della forza di inerzia per rubare qualche ripetizione extra, bensì, permetterebbe di rendere nettamente più uniforme il diagramma di forza, pensiamoci….

Sto eseguendo un rematore con manubrio, uno, due, tre, nove, alla decima ripetizione non riesco quasi più a completare la fase eccentrica e decido di terminare la serie, se invece provassi a proseguire cosa succederebbe?
Se proseguissi riuscirei a compiere, con nemmeno troppa fatica tra l’altro, svariate ripetizioni parziali appunto con la parte iniziale del ROM, che è appunto, anche quella meno ostica.
Così facendo, se terminassi la serie, mi ritroverei con parte delle fibre esaurite (quelle che intervengono nella fase finale della tirata) e parte ancora fresche, quasi deallenate (quelle intervengono nella porzione iniziale).
Inserendo il cheating ad ogni ripetizione in chiusura invece, andrei a ridurre la tensione nel punto in cui questa raggiunge il suo picco, andando così a rendere più uniforme il diagramma di forza e quindi la tensione nei vari punti del ROM.
In questo modo otterrei svariati benefici, riuscire a dare pressoché il medesimo lavoro a tutte le fibre che intervengono, in questo caso nel rematore e mi eviterei di dover aggiungere altre serie e/o esercizi per farlo, cosa non da poco considerando che il bodybuilding è economizzare, ottenere il massimo col minimo e ciò oltretutto mi permetterebbe di utilizzare un carico più elevato, anche questa cosa da non sottovalutare

ATTENZIONE però, prima di andarlo ad utilizzare è importante saperlo padroneggiare, il cheating è una tecnica ed in quanto tale va appresa e soprattutto è necessario capire in che esercizi trova la sua utilità ed in quale invece perde di senso.

Prendendo sempre il rematore con manubrio come esempio, è fondamentale che il cheating venga applicato solo in chiusura applicando una leggerissima flessione di ginocchia e/o busto, senza cambiare però l’inclinazione di quest’ultimo, pena, cambiare anche il prime mover dell’esercizio e di conseguenza, spostare il focus dal gran drosale.
Lo stesso ad esempio nel pendlay row, elevando troppo il busto e prima del dovuto, il focus si sposterebbe dal gran dorsale ad erettori spinali, trapezi ed elevatori della scapola, rendendo inutile l’esercizio per la finalità con cui era stato inserito nella routine di allenamento.

Ripeto però, non è applicabile a tutti gli esercizi, prendiamo come esempio una lat machine ove gli arti inferiori del tronco sono vincolati, applicare il cheating in questo esercizio non è utile, al contrario, sposterebbe il prime mover cambiando anche i fasci del dorso coinvolti, in quanto un suo utilizzo porterebbe ad una estensione dell’anca, con conseguente variazione della traiettoria del carico, che da verticale passerebbe ad obliqua, trasformando l’esercizio da un’adduzione dell’omero ad una sua estensione, perdendo così il focus primario della tirata.

Movimento corretto, busto che si inarca senza presentare variazione nell’ampiezza dei gradi dell’angolo che lo separano dalla coscia (circa 90 gradi), con conseguente adduzione dell’omero.

Movimento errato, anca che si estende al posto di mantenere invariati i gradi dell’angolo formato tra busto e coscia, che dovrebbe stare in mobile e semplicemente presentare un’accentuazione dell’arco lombare, con conseguente estensione dell’omero.

È importante che vengano rispettate alcune regole per capire se è possibile applicarlo o meno sull’esercizio X:

-Non deve cambiare il prime mover dell’esercizio.

-Non deve esserci variazione nella traiettoria che dovrebbe compiere il carico.

CONCLUSIONI

Questa è la mia visione in merito al cheating, qualcosa di differente, o meglio, più vasto del semplice immaginario comune, qualcosa che ne eleva drasticamente l’importanza trasformandolo in vera e propria tecnica esecutiva.
Utilizzarlo in questo modo vi permetterà di avere un upgrade nei vostri allenamenti, andando ad ottimizzare le varie serie, ricordatevi però le regole sopracitate per applicarlo, altrimenti potrebbe sortire un effetto opposto, o indesiderato.

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POST GARA, COME COMPORTARSI PER VIVERLO AL MEGLIO.

La fase del post gara è quel momento in cui cala il sipario, la stagione agonistica termina ed in un attimo, finito di contemplare quegli magici momenti passati sul palco ed essersi goduti un paio di giorni di relax, la nostra testa di colpo si ferma per iniziare a pensare, “ora cosa faccio?”.

Andiamo, non fate gli eroi con una volontà di ferro che subito tornano a regime senza mettere un piede fuori dai binari e dite la verità, il senso di dubbio e inquietudine assale bene o male chiunque e soprattutto chi si trova alle prime esperienze.
Quel dubbio che ti frulla in testa su come comportarti, cosa e quanto mangiare, se allenarti o riposare…

Bravo, vedo che ti stai facendo un esame di coscienza ed è capitato anche a te di sentirti “perso”, ma è tutto normale, bene o male ci si può ritrovare in uno dei seguenti scenari:

-C’è chi terminata la gara comincia a fagocitare qualsivoglia cosa di commestibile sulla faccia della terra senza un freno.

-C’è chi si prende qualche giorno di relax per poi tornare al solito regime alimentare che sente come suo.

-C’è chi spaventato dalla mancanza di regole riprende a mangiare esattamente come prima della gara pensando così di essere nella sua zona sicura.

-C’è chi finisce nel brutto circolo vizioso del “dieta-abbuffata-domani mi rimetto”, vivendo male perché inizia a sentirsi sbagliato ed in difetto.

Logicamente ad un esterno che non ha mai vissuto questo tipo di esperienze verrebbe da pensare che basterebbe godersi qualche giorno di stacco per poi tornare in carreggiata, per carità, anche il buon senso dice ciò, però non tutti riescono a comportarsi in questo modo e ci si ritrova, in un momento in cui a livello psicologico si tende ad essere molto fragili.

Facciamo un passo indietro per capire meglio, fino a tornare alla fase pre contest…
Nei mesi che precedono le competizioni si vive seguendo schemi molto rigidi e si cerca a nostra volta di essere il più rigidi possibile nella speranza di salire sul palco ed essere il/la migliore.
Allenamenti in cui ci si estrania nel proprio mondo che diventano via via più pesanti col passare del tempo, ma che si cerca comunque di svolgere al massimo delle proprie possibilità, mentre ci si sente dilaniati dalla stanchezza, fisica e mentale, la dieta in cui ci si va a privare di moltissimi alimenti riducendo le fonti ad un numero conteggiabile sulle dita di una mano.

Ecco, pensate a questo e capirete come mai ci si possa sentire così in un post gara, io stesso che in pre gara assumevo letteralmente solo 5 alimenti e avevo addirittura tolto l’avena perché i grassi derivanti da essa non sono ottimali in preparazione, finita questa stagione di gare e nella piena consapevolezza che non sarebbe stata ciò a farmi peggiore fisicamente, avevo quasi “paura” a reintrodurla.

Io cerco sempre di facilitare il compito ai miei ragazzi e di riportarli a vivere serenamente il proprio percorso rimettendosi pian piano, perché sì, purtroppo ci si ritrova talvolta a raccogliere dei ragazzi a pezzi.
Un preparatore in questi casi infatti, come io sono solito fare, dovrebbe aiutarli a tornare in carreggiata passa per passo, indirizzandoli sulla giusta via, il giusto equilibrio col cibo facendogli capire che non sono in difetto come pensano di essere, che è normale sentirsi così dopo una gara, che è normale aver voglia di qualcosa di diverso, che è normale non riuscire ad essere subito dei soldati a livello alimentare, che è normale aver voglia di staccare qualche giorno dagli allenamenti.

Il mio intervento, in linea di massima consiste nel consigliare di staccare la spina per alcuni giorni, anche una settimana se necessario ed in alcuni casi addirittura di più (ciò è condizione dipendente, più è stata estremizzata e più riposo servirà) ed in questi giorni riposo assoluto, niente dieta, conteggio dei macros e allenamento.
Lo scopo è quello di resettare totalmente l’atleta e riportarlo ad un nuovo punto di partenza in una condizione fisica e mentale tale per cui possa davvero riprendere a fare ciò che tanto ama, perché tutto quel che ho detto sopra è normale, umano…

L’atleta, una volta ricaricate le batterie tornerà a vivere il bodybuilding che tanto ama, però chiunque, me compreso, come già detto sopra, risentirà ancora delle restrizioni alimentari avute fino ad ora, o della necessità di fare tot sedute di cardio a settimana, arrivati a questo punto il mio scopo e quello che dovete fare voi, è cercare di autoimporsi di uscire da questi schemi, non stiamo più preparando una gara, è quindi finita la guerra, non sarà qualche seduta di cardio in meno a farvi peggiorare, come non lo sarà qualche alimento considerato meno ideale per la dieta a portare a questo.

Questo è ciò che ho fatto con Edoardo Stramazzo, un atleta che preparo, nonché amico, che ha gareggiato come classic physique in nbfi, dopo la gara voleva tornare subito a dieta, cadendo nel classico circolo vizioso dieta-sgarro-ripeto.
Mi sono posto nei suoi confronti consigliandogli di ascoltarsi e non farsi problemi se avesse voglia di mangiare di più e di ritornare a regime in modo graduale partendo subito da calorie decisamente più alte ed evitando reverse diet, che possono solo facilitare l’instaurarsi di questi circoli viziosi, in quanto la reverse è semplicemente un reiterare più a lungo la condizione di ipocalorica.

PER QUANTO RIGUARDA L’ALLENAMENTO INVECE?

La gestione dell’allenamento nel post gara è sempre condizione dipendente, come detto prima, più è stata estremizzata, più riposo servirà e più dovranno essere blande le sedute in sala pesi una volta ripresi.

Fatta questa premessa e facendo finta di aver fatto riposare il ragazzo abbastanza, sono solito impostare delle split con volume e frequenza relativamente basse, utilizzando sedute piuttosto semplici, sviluppate prettamente con serie con TUT FLUIDI e range di ripetizioni medie, solitamente oscillo tra le 8 e le 15 con esercizi poco impattanti sul sistema nervoso centrale in questa fase.
Questo, appunto per permettere di riassaggiare pian piano la ghisa, evitando di creare troppo impatto a livello del SNC, di riprendere i carichi, riabituarsi agli schemi motori che in futuro utilizzeremo maggiormente e soprattutto riportare dentro di loro quella voglia di sbranare i pesi in palestra.

In questa fase infatti, il fine primario non deve essere la performance o la condizione, bensì riportare l’atleta in uno stato ideale per poter rendere proficui gli allenamenti futuri, detto proprio in modo ironico, stiamo facendo riabilitazione.

CONCLUSIONI

Il post gara è un momento delicato, in cui talvolta lo sconforto può assalirci, bisogna cercare di esorcizzare queste paure, accettare e accogliere i bisogni del nostro organismo e capire che è tutto normale, una fase transitoria che però è obbligatoria per poi ritornare a prepararsi in vista delle competizioni future.
Per di più, cerchiamo di non vedere solo il lato negativo quando ci troviamo in questa situazione, ma bensì, coglierla al volo per goderci qualche sfizio culinario e gli affetti dei nostri cari, anche perché questa possibilità l’avremo nuovamente solo dopo la prossima gara.

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METODOLOGIA HATFIELD

Hatfield, famoso per il suo record di squat del 1987 con 460kg, da cui prese il soprannome di Dr.squat fu l’ideatore di una metodologia di allenamento davvero innovativa, meno tassante a livello strutturale rispetto ad altre quali l’heavy duty e sicuramente più semplice sotto tutti i punti di vista da mettere in pratica. Hatfield fu anche il fondatore e presidente dell’ISSA, oltre che un grande powerlifter.

LE BASI

La metodologia Hatfied ebbe successo poichè si basava per la prima volta su prove scientifiche molto solide. Attraverso l’osservazione al microscopio ottico si era notato infatti che il muscolo era formato da varie unità e corpi diversi. Erano presenti ovviamente le fibre muscolari, di diverso tipo a seconda della funzione, vascolarizzazione e velocità di contrazione (I, IIa, IIx) circondate dal sarcoplasma. Sono presenti anche i mitocondri adibiti alla sintesi di ATP e depositi di grasso, capillari e glicogeno. Fred Hatfield cerca di colpire in modo completo tutte le fibre muscolare utilizzando range reps e di conseguenza TUT differenti.

Le varie componenti muscolari comprendono:

-Sarcoplasma che costituisce circa il 20% – 30%

-Miofibrille che costituiscono circa il 20% – 30%

-Mitocondri che compongono il 15% – 25%

-Arasso per circa il 10% – 15%

-Altre sostanze sub-cellulari 3% – 7%

-Capillari 4% – 6%

-Glicogeno 3% – 6%

-Tessuto connettivo 2% – 3%

Visto che le componenti presenti in quantità maggiore sono sarcoplasma e miofibrilla, Hatfield decise di concentrarsi prevalentemente su queste.

Miofibrilla: è quella che viene considerata “il tessuto muscolare vero e proprio”, ovvero i filamenti di actina e miosina, si manifesta come un ispessimento dei filamenti che costituiscono le miofibrille della cellula. Lo stimolo per l’ipertrofia di questo tipo viene effettuata con alti carichi e basse ripetizioni, sfruttando prevalentemente il sistema anaerobico alattacido di potenza.

Sarcoplasma: è invece l’ambiente che circonda le miofibrille, costituisce la parte liquida della cellula che ospita mitocondri, glicogeno e acidi grassi, ovvero le riserve di energia. Per aumentare di volume, il sarcoplasma richiede un lavoro di resistenza allo sforzo che inneschi l’esaurimento del glicogeno cellulare, che una volta ricostituito in eccesso con la dieta, renderà il muscolo molto più voluminoso. Per ottenere ciò è necessario lavorare sul metabolismo anaerobico lattacido.

COME FUNZIONA?

Il metodo Hatfield, nonostante nel tempo abbia subito svariate modifiche e da cui siano nate altre metodologie che ripropongono sempre la stessa minestra riscaldata, presenta una prima parte in cui si va a ricercare uno stimolo meccanico, utilizzando un range di ripetizioni piuttosto basso, eseguite in modo abbastanza esplosivo e con recuperi lunghi. Dopo di che si passa ad uno stimolo sarcoplasmatico utilizzando un range di ripetizioni maggiore, esecuzioni più lente e recuperi più brevi, per poi chiedere con uno stimolo per coprire le restanti componenti muscolari, a ripetizioni davvero elevate, eseguite lentamente e con recuperi brevi. Questo perché l’intento è quello di colpire a pieno tutte le fibre muscolari e le componenti del muscolo sfruttando sistemi energetici differenti.

LA STRUTTURA

Hatfield consiglia di allenare uno stesso muscolo ogni cinque giorni e con tre allenamenti settimanali che dividono il corpo in due parti (A e B), utilizzando una scheda A-B-A, B-A-B, ma comunque ne esistono tante varianti. Il programma base prevede: Il metodo di allenamento Hatfield prevede:

• 3-4 serie da 4-6 ripetizioni su un esercizio base multi-articolare con 150” di recupero

• 3-4 serie da 10-15 ripetizioni su altri esercizi multi-articolari con 90” di recupero

• 2-3 serie da 20-30 ripetizioni su esercizi complementari o di “isolamento” con 60” di recupero

Ovviamente questi sono tutti numeri indicativi e variabili nel modo più consono alla proprio programmazione. Anche la velocità di esecuzione è importante, in quanto può cambiare parte delle fibre coinvolte indipendentemente dal carico utilizzato.

ESEMPIO DI PROGRAMMA

A

Panca piana bilanciere 4×5

Panca inclinata bilanciere o manubri 4×12

Croci ai cavi alti o pek fly 3×25

Panca piana presa stretta 3×10

French press 2×20

B

Pendlay row 4×5

Lat machine avanti 4×12

Pulldown 3×25

Curl bilanciere 3×10

Curl con manubri alternato 2×20

C

Squat 4×5

Stacchi GT 4×8

Leg ex 3×20

Leg curl 3×20

D

Distensioni manubri su panca 80° 4×6

Alzate laterali singole panca 45 4×12

Alzate laterali 3×25

Croci inverse ai cavi 3×30

Scrollate con manubri 3×15

L’allenamento Hatfield a mio avviso presenta poco volume ed una bassa frequenza, che però possono essere tranquillamente modificate. La teoria su cui si basa lo rende un’ottima metodologia con cui allenarsi perché fornisce uno stimolo completo, ovviamente non può essere l’unico approccio utilizzabile per sempre, in quanto per progredire vi è necessità di stimoli nuovi e di conseguenza anche questa metodologia va ciclizzata.