BLOW FLOW RESTRICTION TRAINING

Meglio conosciuto come Blood Flow Restriction, o Kaatsu Training, e Vascular Occlusion Training, oggi questa metodica viene utilizzata anche se i meccanismi fisiologici che portano a tali effetti non sono ancora ben chiari.
Il suo inventore, o meglio l’inventore del KAATSU Training, il giapponese Yoshiaki Sato, che all’età di 67 anni nel suo sito sfoggia braccia con muscoli degni delle migliori spiagge californiane,  promette che con trenta minuti di allenamento si possano ottenere gli stessi risultati di tre ore di allenamento tradizionale.

Questa metodologia di allenamento consiste nell’applicare delle fasce/lacci agli arti interessati nell’allenamento, ovviamente è appunto applicabile solo ai gruppi muscolari presenti sugli arti. La restrizione è tale da ostacolare il ritorno venoso del flusso sanguigno ma non da impedire l’apporto di sangue arterioso.
Questo porta ad utilizzare carichi radicalmente più bassi (20/30% dell’1 RM) a quelli a cui si è abituati ad utilizzare, infatti questa metodologia di allenamento viene spesso utilizzata in ambito riabilitativo o per gli anziani, permettendo di potersi allenare anche se non si è nel miglior stato di forma possibile.

È ormai risaputo che il processo di invecchiamento porti ad un significativo declino sia della massa muscolare che della forza, associato ad un rischio maggiore di sviluppare osteoporosi, ad un aumentato rischio di cadute, complicanze cardiovascolari e una condizione fisica generale peggiorata che influisce sulle qualità della vita, fino alla sedentarietà.

In questo contesto, secondo le ricerche scientifiche, l’attività fisica contro resistenza di almeno il 60% di 1RM sembra essere quella più adatta a soddisfare tali requisiti nelle popolazioni di adulti e anziani.

Tuttavia possono essere impiegati diversi mesi per raggiungere tali carichi gradualmente, con il rischio inoltre, a causa della presenza di condizioni muscoloscheletriche come lombalgia e osteoartrite, comuni a questa età e che rendono più complicato lo svolgimento degli esercizi, che vi sia l’abbandono del programma d’allenamento.

FUNZIONAMENTO

Anche se i meccanismi fisiologici che portano a tali effetti non sono ancora ben chiari, si suppone che lo stress metabolico associato alla tensione meccanica del carico sollevato, agiscano sinergicamente nel mediare numerosi meccanismi secondari, che stimolano eventi autocrini e/o paracrini, fino alla crescita muscolare.

Tra i meccanismi coinvolti vi sarebbero, l’aumento della dimensione della cellula muscolare, un’elevata produzione di ormoni sistemici come GH e IGF-1, aumento di segnali anabolici/anti-catabolici intramuscolari che intensificano la sintesi proteica muscolare, aumento del reclutamento delle fibre fast-twitch e la produzione di specie reattive dell’ossigeno.

Combinati con un aumento limitato dei livelli dei markers di danno muscolare (CK, myoglobin, IL-6), questi fattori creano le giuste condizioni per un aumento dell’ipertrofia muscolare.

APPLICAZIONE SUL CAMPO

Bisogna legare una benda o una fascia elastica (le fasce per le ginocchia vanno bene), più in alto possibile nell’arto interessato; in genere è consigliato il suo utilizzo solo negli esercizi monoarticolari (come curl o leg extension).
Nonostante la letteratura scientifica evidenzi aumenti di massa muscolare con carichi pari o superiori all’80% dell’1RM, il BFR viene generlamente utilizzato con carichi del 20/30% dell’1RM.

Vi sono molteplici fattori che influenzano la resa di questa tecnica di allenamento, in primis l’occlusione che può essere totale o parziale, il tipo di occlusione che può essere costante o intermittente, il livello d’intensità dell’esercizio svolto ed il volume utilizzato.
Comunque si tratta di una tecnica che non andrebbe utilizzata sull’intera seduta ma solamente con alcune serie o una parte degli esercizi della programmazione.

Il volume di lavoro suggerito per ottenere adattamenti sufficienti nella maggior parte delle persone, è di 75 ripetizioni distribuite in 4 set (30, 15, 15, 15). Anche lavorare a cedimento è un’alternativa ma potrebbe non essere sempre necessario.
Questa però è solo una delle proposte, io ad esempio lo utilizzo in unico set da 5 minuti in rest pause di push down.

Personalmente la trovo un’ottima tecnica da sfruttare come jolly per dare uno shock ai gruppi carenti, ho visto un ottimo miglioramento sui tricipiti iniziando ad utilizzarla e sono sempre stati un mio grande cruccio.

NON TIRATE TROPPO LA CORDA

se vengono avvertiti i seguenti sintomi vuol dire che la pressione che stiamo mettendo sul circolo sanguigno sottostante è troppa, quindi non bisogna stringere troppo i lacci:

  • intorpidimento dell’arto
  • sensazione di freschezza
  • difficoltà di contrazione e movimento muscolare
  • dolore muscolare
  • colore pallido
  • diminuzione delle pulsazioni

Nel caso si avvertisse una di queste sensazioni, è necessario diminuire la pressione che stiamo applicando.

CONCLUSIONI

Si tratta di una tecnica molto interessante e non ancora abbastanza studiata, che porta numerosi benefici sia in ambito agonistico che riabilitativo.
Se contestualizzata può essere un buon asso nella manica da sfruttare per chi vuole provare a migliorare un gruppo carenti o verso soggetti che non hanno la possibilità di utilizzare carichi elevati.

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Volume allenante ideale.

Partiamo col definire cosa sia il volume…

Parametro utilizzato in una programmazione per definire il carico di lavoro, in termini di numero di alzate eseguite in un dato esercizio nell’unità di tempo.
Fornisce un’informazione parziale rispetto a quanto lavoro effettivo dovrà eseguire l’atleta.
Combinato all’intensità utilizzata, fornirà uno dei parametri fondamentali nella programmazione, il tonnellaggio.
Per esempio, se eseguo 3 seri da 10 ripetizioni con 100kg, avrò un tonnellaggio totale di 3000kg spostati nella seduta.

Il calcolo del volume nasce essenzialmente per discipline con fine prestazionale per programmare a dovere i protocolli, col tempo però, ha assunto grande importanza anche nel bodybuilding, da quando si è scoperto essere uno dei parametri fondamentali, se non quello più importante su cui giocare per poter progredire.

È ormai risaputo che per poter migliore è fondamentale vi sia una progressione a livello di carico o volume, per questo è diventato uno dei parametri fondamentali da regolare nelle programmazioni.
Se esegui 4 serie da 10 con 100kg e col tempo passo a 4 serie da 15 a parità di carico, avrò avuto un progresso non indifferente, in quanto il tonnellaggio sarà passato da 4000kg a 6000kg!

QUAL È IL VOLUME IDEALE?

Vi sono molteplici studi inerenti al volume da utilizzare in allenamento e la maggior parte propongono, come maggiormente proficuo a fine ipertrofico, l’alto volume.
Peccato che i soggetti presi in esame siano per lo più neofiti/sedentari, quindi utenti che non hanno grande capacità di esprimere intensità e di conseguenza, com’è normale che sia, rispondono bene ad allenamenti ad alto volume.
Se non sai attivare/esprimere intensità con un gruppo muscolare, basta bombardarlo di volume e questo crescerà comunque, perché nonostante il carico interno risulterà nettamente inferiore a quello esterno, il muscolo alla fine lavorerà comunque molto più di quanto farebbe altrimenti.

Questo però non significa nemmeno che allenarsi con volume e frequenza settimanale bassi come si è creduto per molto tempo sia ottimale.
Per molto tempo è stata presente nel mondo del bodybuilding la paura di fare troppo, arrivando così ad allenarsi veramente poco.
Peccato che anche questo sia sbagliato ed è stato ormai smentito da tempo, di base possiamo fare più di quello che pensiamo.
Per carità, il sovrallenamento esiste, ma comunque è molto è più difficile di quanto sembri raggiungerlo, talvolta quasi una chimera.
La stimolazione della sintesi proteica, senza l’uso di farmaci anabolizzanti rimane attiva solo per 72h, quindi, come al solito, la verità sta nel mezzo, né troppo, né troppo poco, anche perché il vero fattore limitante è l’SNC (sistema nervoso centrale), i muscoli recuperano molto prima.

COSA SUCCEDE SE UTILIZZO TROPPO O TROPPO POCO VOLUME?

In caso il volume utilizzato non sia sufficiente, si arriverà inevitabilmente ad uno stallo.
Non vi saranno più miglioramenti significativi.

In caso invece vi sia troppo volume, ciò porterà a quello che viene comunemente chiamato “volume spazzatura”, ovvero, tutte quelle serie e ripetizioni che non aiutano a migliorare, ma anzi, al contrario impattano sul recupero rallentando i progressi.
Questo è ancora peggio del volume troppo basso, perché nonostante in entrambi i casi si arrivi ad un “punto morto”, nel secondo si rischia anche di andare incontro al sovrallenamento.

La difficoltà nel trovare il giusto volume allenante sta nel fatto che ogni soggetto necessità di una quantità di volume differente, c’è chi risponde bene al basso volume e chi all’alto volume.
Questo perché?
Come già accennato sopra, un soggetto che non sa o comunque fatica ad esprimere intensità necessiterà di più volume per poter dare uno stimolo adeguato al muscolo perché questo cresca.

QUINDI QUANTO VOLUME PER GRUPPO MUSCOLARE?

Come già accennato non c’è una regola, dipende da svariati fattori quali: anzianità di allenamento, passato sportivo, genetica, ecc…
Normalmente si stimano 100-160 ripetizioni per i gruppi grandi e 90-140 per quelli piccoli, peccato che ciò sia molto relativo, riportando me stesso come esempio, per allenare il lower ho contato una media attuale di 60/70 ripetizioni a settimana e per le braccia quasi 180.
Quindi prendete questi numeri con le pinze.

QUINDI COSA FARE?

Visto che tutto ciò è altamente soggettivo, l’unica è provare a fare sempre qualcosa in più, così da riuscire a valutare quando il nostro corpo sta arrivando a saturazione.
Quindi torneranno utili in questo caso e fondamentale ai fine ipertrofici, aumenti di volume graduali e costanti nel tempo.
La presenza di una progressione, come già detto è fondamentale per migliorare, quindi piccoli aumenti di volume nelle settimane, anche solo di una ripetizione a serie saranno fondamentali.
Pensiamo solo a quanto tonnellaggio riusciremmo a guadagnare aumentando di una ripetizione a settimana tutte le serie, ovviamente non è un processo che si piò protrarre all’infinito, tutti i programmi prima o poi falliscono, però è un buon modo per creare una progressione e valutare quanto volume siamo in grado di tollerare.
Attenzione però a non cadere nel sopracitato volume spazzatura!
Quindi sarà fondamentale ascoltare il proprio corpo, come sempre del resto e monitorare i propri progressi per riuscire a valutare di quanto volume si necessita.


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Allenare in modo completo un muscolo.

Dare uno stimolo completo e sfinire tutte le fibre che intervengono nei diversi punti del ROM dei vari esercizi è fondamentale per avere la massima resa a livello ipertrofico.
Non è sufficienti dare uno stimolo completo coprendo tutti i range di ripetizioni, ma è fondamentale anche la scelta dei vari esercizi, in quanto ogni esercizio pone il proprio picco di massima contrazione in porzioni del ROM differenti.

COME FUNZIONA?

Ogni esercizio pone all’inizio della fase concentrica i sarcomeri ad un allungamento differente, che sia un ideale, oppure un allungamento/accorcimento maggiore.
Di conseguenza, l’enfasi nel lavoro verrà posta verso l’inizio, metà o la fine del ROM attivo.
Proprio per questo la scelta degli esercizi è fondamentale, per dare lo stesso lavoro a tutte le fibre che intervengono nelle differenti porzioni del ROM.
Utilizzare solo multiarticolari ad esempio non genererà mai lo stesso lavoro su tutte le fibre che intervengono col massimo allungamento o accorciamento, ciò è dovuto al diagramma di forza non uniforme, in quanto ogni esercizio non presenta mia la medesima tensione lungo tutti i gradi di lavoro del ROM attivo.
Tutti gli esercizi presentano una curva di forza ascendente o discendente, per questo, quando ad esempio eseguiamo un curl con bilanciere, percepiamo molta più fatica dopo i primi gradi rispetto agli ultimi del ROM, che al contrario risulta molto meno ostica, se non quasi facile.

SCELTA DEGLI ESERCIZI

Non vi siete mai chiesti perché, ad esempio nei bicipiti, si utilizzino esercizi differenti nonostante il movimento sia sempre il medesimo, ovvero una semplice flessione del gomito?
Proprio per questo motivo!
Non è fondamentale che il movimento si differenzi per dare uno stimolo completo, anche perché nel caso di bicipiti e tricipiti gli unici movimenti permessi dall’articolazione interessata, ovvero il gomito, sono puramente di flessione ed estensione dello stesso.
Come già scritto, esistono molteplici esercizi che pongono in partenza il muscolo ad allungamenti differenti e proprio per questo è fondamentale una buona conoscenza della meccanica del movimento per capire quali e come utilizzarli.

COME CAPIRE QUALI ESERCIZI SCEGLIERE

La forza che può esprimere un muscolo è influenzata dall’allungamento che presenta in base all’esercizio, proprio per questo i multiarticolari sono utilizzati per lavori con stimolo meccanico, in quanto ponendo il muscolo in una condizione di allungamento ideale permettono di esprimere il massimo del loro potenziale.
Questo è lo stesso motivo per cui coi complementari non si riesce ad esprimere la medesima forza in termini di kg spostati, in quanto solitamente pongono il muscolo in maggior o minor allungamento rispetto a quello che viene considerato ideale.
Quindi sarà fondamentale inserire nella propria split un multiarticolare, come un curl con bilanciere per quanto riguarda i bicipiti, dopo di che andrebbero inseriti altri due esercizi, uno che ponga enfasi e quindi abbia il picco di massima contrazione in accorciamento ed uno che lo abbia in allungamento.
Per non uscire troppo fuori tema, in quanto l’analisi della meccanica dei vari esercizi richiederebbe un libro a parte, si può, parlando proprio terra terra, capire dove viene posta l’enfasi concentrandosi sulla variazione di tensione che presenta l’esercizio.
In base alla porzione di ROM in cui si percepirà maggior tensione, potrete capire dove il lavoro ha enfasi, per di più è facile percepire se un muscolo viene sottoposto a forte strech o accorcimento.

ESEMPIO

Prendiamo in esempio, visto che fino ad ora abbiamo parlato di bicipiti, proprio loro.
Utilizzerò una split su due giorni settimanali, due perché così posso mostrarvi al meglio come avere uno stimolo completo anche per quanto concerne i range di ripetizioni.

GIORNO 1:

-Curl con bilanciere 4×6

-Curl su panca 45 gradi con manubri 3×12

-Curl su panca scott con manubri 3×20

GIORNO 2:

-Curl con bilanciere 4×6

-Curl su panca scott con manubri 3×12

-Curl su panca 45 gradi con manubri 3×20

La scelta di questi tre esercizi è dettata da quanto scritto sopra, il curl con bilanciere pone il muscolo ad un allungamento ideale e permette di esprimere il massimo della forza, quindi si presta bene a lavori con stimolo meccanico.
In questo modo andiamo a coprire la porzione centrale del ROM col massimo lavoro e diamo uno stimolo miofibrillare con l’ausilio di ripetizioni medio-basse.

Il curl su panca a 45 gradi, ponendo in estensione l’omero fa sì che il bicipite sia posto in allungamento, in quanto il tendine si inserziona a livello del deltoide e di conseguenza qui si avrà il picco di massima contrazione in allungamento.

Il curl su panca scott invece, ponendo in flessione l’omero farà sì che il bicipite sia posto in accorciamento, ciò sempre dovuto al punto di inserzione del tendine.

Così si avrà il massimo lavoro su tutte le fibre, la scelta di invertire le ripetizioni e l’ordine degli esercizi tra i due giorni è voluto per dare anche la stessa tipologia di stimolo a tutte le fibre.
Quindi avremo, oltre lo stimolo miofibrillare col 4×6, anche quello sarcoplasmatico e quello di capillarizzazione rispettivamente col 3×12 e col 3×20.

CONCLUSIONI

Non limitiamoci ad inserire gli esercizi che più apprezziamo, ma sfruttiamo anche quelli che meno amiamo se ci permettono di svolgere un lavoro completo.
È fondamentale per poter ottenere il massimo e comunque impareremo ad apprezzare i nuovi esercizi a furia di eseguirli.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento, giovedì uscirà il video youtube inerente a quanto detto in questo articolo sul mio canale.

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LEGGE DI HENNEMAN

Quanto è importante il reclutamento di tutte le fibre muscolari in allenamento?
Tantissimo!
È fondamentale ai fine di una resa ottimale del protocollo, per molto tempo la maggior parte degli utenti che frequentano la sala pesi, tra cui anche gli atleti, alcuni addirittura tutt’ora, credevano che fossero le ultime ripetizioni, quelle che precedono il cedimento muscolare, ovvero l’incapacità di protrarre oltre la serie, a permettere il reclutamento di tutte le fibre, quando la realtà è tutt’altra.

Il reclutamento delle fibre muscolari va in relazione al carico utilizzato per svolgere gli esercizi e ciò è regolato e spiegato dalla LEGGE DI HENNEMAN, detta anche “principio della dimensione”, ci spiega come le unità motorie vengano reclutate in base alla dimensione delle fibre, poiché la grandezza delle fibre determina la loro capacità di produrre forza.

E’ convinzione comune, che in un esercizio intenso, sono le ultime ripetizioni che reclutano tutte le fibre muscolari.
Attraverso questa convinzione, in palestra, gli esercizi vengono tutti protratti fino a totale cedimento se non oltre.
Purtroppo non è così, arrivare a cedimento con degli squat a corpo libero, o con delle doppie/triple con carichi submassimali, non permette di reclutare tutte le fibre e/o il medesimo tipo di fibre.
Se fosse così semplice, basterebbe lavorare con range di ripetizioni piuttosto alti e si riuscirebbe anche a migliorare la componente forza, peccato non sia così.

Protrarre una serie fino al cedimento, permette di SFINIRE tutte le fibre del medesimo tipo che intervengono alternandosi, col carico X, ma non di reclutare tutti i tipi di fibre.
La tipologia di fibre reclutata varia in base al carico utilizzato, che può permettere di reclutarle tutte, anche senza arrivare all’incapacità motoria.

QUINDI È IL CARICO OTTIMALE A DETERMINARE CHE FIBRE SI ATTIVANO.

QUAL È IL CARICO PERÒ IL CARICO OTTIMALE?

Bosco e Coll mostrano che tutte le fibre muscolari si attivano con carichi che partono dall’80% del massimale.
Ricordiamoci però, che l’aumento di forza è dato da un aumento della frequenza di scarica del sistema nervoso e non da un coinvolgimento di un numero maggiore di fibre.

Il sistema nervoso, insieme al sistemano endocrino, è il “capo”.

Grazie all’elaborazioni di informazioni in entrata ed uscita, l’azione del sistema nervoso permette di essere quello che siamo.
Ogni movimento volontario origina dalla corteccia motoria, costituita da due aree definite: aree 4 e 6 di Brodmann.
Nella corteccia sono presenti dei neuroni definiti cellule piramidali, i quali, grazie ai loro assoni, si proiettano verso il midollo spinale, decussando, a livello di una zona del tronco encefalico definita bulbo.

Una volta avvenuta la decussazione, l’assone del neurone presente a livello superiore fa sinapsi con il motoneurone presente a livello del corno anteriore contro-laterale che, a sua volta, andrà a fare con diverse fibre muscolari, andando a costituire l’unità motoria.
Ogni motoneurone può innervare da poche a molte fibre muscolari, a seconda della grandezza del muscolo e dal grado di precisione richiesto nei movimenti.

Questa legge, insegna quindi che il carico ottimale è attorno all’ottanta percento e che di conseguenza la maggior parte delle serie DOVREBBE avvenire intorno a quella percentuale.

Dico “dovrebbe”, perché sarà comunque importante utilizzare anche range di ripetizioni più/meno alti per svolgere un lavoro completo, in modo tale da sfinire totalmente tutte le tipologie di fibre.
Perché, nonostante la LEGGE DI HENNEMAN affermi che con carichi dall’80% in poi si riescano a reclutare tutte le unità motorie, nella realtà dei fatti vi sono alcune unità motorie che rimangono “dormienti”; questo permette alle unità affaticate di poter essere sostituite da unità più fresche. Proprio per questo nel bodybuilding vengono utilizzati anche range di ripetizioni che permettono di sfruttare carichi differenti dall’80% del massimale ed il cedimento muscolare.
Reclutando tutte le fibre ed utilizzando il cedimento, contestualizzandolo e non abusandone, potremo avere un lavoro completo a 360°, che ci permetta di andarcene a casa soddisfatti dalla sala pesi.ù

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La respirazione negli esercizi

Utilizzare una respirazione corretta durante l’esecuzione degli esercizi è fondamentale per una buona prestazione ed evitare di incappare in problematiche.
Infatti è un aspetto molto importante e che gli atleti con una buona esperienza alle spalle, curano molto.


La classica respirazione adottata in palestra, prevede, nella maggior parte dei casi di espirare durante la fase concentrica e di inspirare durante la fase eccentrica.
Questo metodo, ben collaudato, generalmente funziona bene, anche se all’inizio il principiante percepirà questa pratica come un ulteriore vincolo che tende a confonderlo. In realtà, forzarsi a controllare la respirazione in questo modo presuppone una buona dose di concentrazione, quindi mette l’atleta nella giusta condizione di attenzione massima a ciò che sta facendo. Troppe volte si vedono in palestra persone che si guardano in giro mentre fanno un esercizio o, peggio, che parlano con il vicino! Concentrarsi sulla respirazione è un buon metodo per pensare esclusivamente al gesto che si sta compiendo.

Non in tutti gli esercizi però la respirazione è uguale, in alcuni esercizi, come ad esempio le alzate laterali, la respirazione è invertita, ma lo vedremo bene a breve
Intanto, una buona regola generale da tenere a mente è la seguente:
“la cosa più importante da fare è non trattenere il respiro durante la fase di carico.”
Trattenere il respiro durante la fase di carico è un errore molto diffuso, perché è istintivo trattenere il fiato durante il massimo sforzo. In realtà ciò è proprio il contrario di quello che si deve fare, perché l’apnea in questa fase può portare anche a gravi conseguenze, soprattutto se lo sforzo coinvolge i muscoli della parte superiore del corpo. Trattenere il fiato, quindi bloccare intenzionalmente la glottide, porta ad una compressione delle vene, dovuta a un aumento della pressione all’interno della cassa toracica. Per effetto della compressione, le vene possono anche occludersi parzialmente (come se fossero strozzate da una mano…) e ciò rallenta notevolmente il ritorno del sangue venoso al cuore. Come conseguenza la pressione arteriosa sale, arrivando anche a valori impressionanti come 300 mmHg (contro i 120 a riposo).

COME ADATTARE LA RESPIRAZIONE AGLI ESERCIZI

La respirazione è regolata da indicazioni che possono essere divise in due categorie:

-Respirazione durante gli esercizi che non presentano uno sforzo elevato e forze di compressione e di taglio sul rachide lombare.

-Respirazioni durante esercizi che presentano uno sforzo elevato e forze di compressione e taglio sul rachide lombare.

Per quanto riguarda la prima categoria, le fasi del respiro (inspirazione ed espirazione), sono collegate a quella che Kraemer definisce “corrispondenza anatomica”.
Ciò consiste nell’abbinare all’inspirazione la fase del movimento che implica un aumento del volume nella cassa toracica ed all’espirazione il movimento che ne crea una sua diminuzione.

Esempio:

Alzate laterali, quando l’omero viene abdotto fino ai classici 90 gradi di ROM, vi è un aumento del volume della cassa toracica, al contrario quando viene addotto nuovamente al corpo si presenta una diminuzione del volume, infatti si espira nella fase concentrica e si inspira nella fase eccentrica, l’opposto di quanto molti fanno.

In una lat machine invece, si inspira, come succede nella maggior parte degli esercizi, nella fase eccentrica e si espira nella fase concentrica.
Questo perché, nella fase eccentrica, con l’estendersi dell’omero, la cassa toracica va ad aumentare di volume, viceversa a diminuirlo quando l’omero viene addotto nella fase concentrica.

La seconda categoria è invece regolata da quella che Kraemer chiama “corrispondenza biomeccanica”, la cui respirazione è fondamentale per evitare di incappare in infortuni, oltre che per avere migliori prestazioni.
Ovvero la classica inspirazione/eccentrica-espirazione/concentrica, a prescindere dai movimenti del torace.

La variazione della respirazione in esercizi come stacco, squat, panca, ecc è necessaria in quanto si ricerca un aumento della pressione intra-addominale, (IAP) per diminuire le forze di taglio anteriori sulle vertebre lombari e di conseguenza proteggere la colonna, questo grazie alla contrazione dell’addome ed all’aria incamerata.
Avete mai fatto caso che prima di iniziare ogni ripetizione, che sia stacco, o che sia squat, si vede l’esecutore prendere una boccata d’aria e scendere in apnea trattenendo il fiato?
Questo è ciò che porta ad un aumento della IAP, grazie alla quale creiamo una sorta di cuscinetto, che ci permette di essere meno soggetti ad infortuni a livello della colonna.
Questo tipo di respirazione viene chiamata manovra di Valsalva, la respirazione che caratterizza ogni ripetizione per un’inspirazione profonda, seguita da un sollevamento in apnea e poi conclusa con un’espirazione.

MANOVRA DI VALSALVA E CINTURA

La cintura che siamo soliti vedere a chiunque in sala pesi, non serve per sorreggere la schiena come si è soliti pensare.
Serve perché, il “cuscinetto” che andiamo a creare con la manovra di Valsalva, tenderà a dissipare parte della pressione in direzione anteriore, in quanto si espanderà proprio anteriormente.
La cintura infatti, permette di evitare la dispersione di pressione anteriormente ed è proprio per questo motivo che le cinture strette d’avanti e larghe dietro, classiche del bodybuilding risultano inutili, in quanto non permettono di evitare che la pressione venga dispersa verso lo stomaco, al contrario, delle cinture da “powerlifting”, che presentano lo stesso spessore ed altezza lungo tutto il perimetro, svolgono egregiamente questo lavoro.

CONCLUSIONI

Come si evince da quanto scritto, la modalità di respirazione in sala pesi è un argomento molto più vasto di come appare, oltre che veramente importante.
Infatti è sbagliato relegarlo alla classica frase “butta fuori l’aria quando spingi”, sarebbe riduttivo, oltre che errato.
Padroneggiare una corretta respirazione è fondamentale per potersi allenare in modo qualitativo ed in sicurezza.

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È SEMPRE NECESSARIO CAMBIARE ESERCIZI?

Molti preparatore sono soliti cambiare radicalmente allenamenti da una programmazione all’altra, andando a modificare, oltre che i parametri che concerno intensità e volume, anche gli esercizi, stravolgendo tutto.
Ma quanto può essere utile modificare totalmente gli schemi motori utilizzati nell’allenamento?


Partiamo da presupposto, che, sia nel bodybuilding, che nelle altre discipline e sport, “è la ripetizioni che rende perfetti”, già da ciò si può intuire quale sia la risposta alla domanda del titolo…
Variare spesso esercizi, può talvolta essere controproducente, in quanto non permette di arrivare ad esprimersi a pieno su un determinato schema motorio.
“ok, in questo protocollo avevamo lo squat, gli affondi ed il sissy squat, in questo mettiamo pressa, leg extension e goblet squat”.


Così facendo ci si ritrova a stravolgere totalmente gli allenamenti a cui siamo abituati, in alcuni casi, ciò, potrebbe anche essere un bene, ma in molti altri potrebbe sortire l’effetto opposto a quello desiderato, trovandosi inizialmente con carichi più “umili”, rispetto a quelli che si potrebbero utilizzare mantenendo gli stessi esercizi.
Questo perché, nonostante si vadano ad inserire esercizi di cui si ha già una buona padronanza tecnica, scegliere di utilizzarli al posto di quelli a cui siamo solitamente abituati, ci porta a dover ripartire, non dico da zero, ma quasi, in quanto ci vorrà più o meno tempo per tornare ad esprimersi a pieno.

QUINDI QUANDO CAMBIARE ESERCIZI E QUANDO NO?

Sicuramente non si possono ripetere gli stessi identici esercizi all’infinito, perché può essere necessario variare alcuni degli schemi motori utilizzati, in quanto si può dover variare i punti del ROM in cui si ricerca la massima contrazione, o per eseguire lavori particolari, in quanto non tutti gli esercizi si prestano al meglio per utilizzare alcune metodiche, ad esempio per eseguire una serie in rest pause, sarà più funzionale una pressa rispetto ad uno squat, così da arginare il problema dell’effort, mantenere un carico elevato sopra la schiena non è cosa da poco, soprattutto considerando l’impatto che hanno questo esercizio e questa metodologia a livello di SNC.
Oppure perché vi sono delle infiammazioni a livello articolare e alcuni esercizi diventano ineseguibili per il dolore che arrecano, o comunque potrebbero aggravare la situazione, o ancora, quando nonostante uno scarico, un cambio a livello di serie o ripetizioni si continua a presentare uno stallo in un esercizio, allora in questo caso risulterà utile mettere da parte per un po’ lo schema motorio X, per poi riprenderlo in futuro e queste sono solo alcune delle motivazioni per cui è più che consono cambiare esercizi.


Al contrario, evitare di variare ogni due per tre, gioverà, e non poco, proseguire mantenendo inalterata la scelta degli esercizi, giocando solo, come già detto prima, sul volume e l’intensità, basta per stravolgere una programmazione, anche perché i nostri ventri muscolari, percepiscono la tensione, non hanno la possibilità di capire se stiamo eseguendo una panca piana o una chest press, sentono il peso, si accorciano, si allungano e si adattano.
Per di più, continuare a ripetere nel tempo un medesimo esercizio, permette di apprenderlo meglio e di esprimersi sempre più intensamente, riuscendo a padroneggiare carichi maggiori nel tempo, è anche per questo che, soprattutto in ambiti come la pesistica in cui il fine è la prestazione, vengono ripetuti alla nausea e più volte a settimana gli stessi esercizi, ciò permette all’SNC di renderci sempre più performanti.
Questo è uno dei motivi per cui, oltre all’innescare più frequentemente la sintesi proteica per un determinato gruppo muscolare, spesso viene utilizzata la multifrequenza.
Soprattutto in caso di stallo, non va lasciato subito da parte l’esercizio X, ma prima è necessario provare a variare serie e ripetizioni, scaricare e proseguire, così, mantenendo sempre il medesimo schema motorio e giocando su questi fattori, si può riuscire a progredire nuovamente, avrà invece senso cambiarlo in caso di stallo che perdura nel tempo nonostante ciò.

SE DEVO APPORTARE MODIFICHE, DEVO STRAVOLGERE TUTTO?

Assolutamente no, come già detto, è utile in caso di necessità cambiare degli esercizi, ma al contempo ciò non significa che vadano sostituiti tutti!
Sarà opportuno, sì, sostituire l’esercizio che crea problemi, ma sarà altrettanto opportuno lasciare invariati gli altri esercizi per i motivi già sopracitati, altrimenti ci ritroveremmo spiazzati nel ripartire “totalmente da zero”.
Dorian Yates era solito tenere le sue programmazioni anche per sei o quattro mesi, andando ad apportare, se necessario, piccolissime variazioni nei range di ripetizioni, o al massimo sostituendo un esercizio, proprio perché per riuscire ad esprimersi a pieno non bastavano sei o otto settimane, prima di apprendere e svolgere al massimo delle proprie potenzialità un piano ci vogliono mesi, se poi si tratta di utenti novizi, si potrebbe mantenere lo stesso allenamento anche per più tempo, ma purtroppo vengono stravolti ogni due per tre per un fattore di marketing.
Continuare a svolgere le stesse sessioni in loop per mesi, può essere noioso e quindi, pur di fare contenti i propri clienti, i personal trainer arrivano con il programma nuovo, così tutti sono felici.

QUINDI NON DEVO CAMBIARE PROGRAMMA?

No, il programma indubbiamente va cambiato, tutti i programmi prima o poi hanno una fine, in quanto qualsiasi programmazione è destinata a fallire, non si può progredire all’infinito.
Infatti anche io sono solito cambiare allenamenti ai miei ragazzi, però mantengo nel complesso, bene o male, sempre gli stessi esercizi, modificando al massimo l’ordine di esecuzione, serie, ripetizioni e ne sostituisco al massimo un paio.
Proprio perché lo stimolo viene comunque variato giocando sugli altri fattori, ma mantenere inalterati gli esercizi, permette loro di poter continuare a lavorare e padroneggiare sempre più i vari gesti, in modo da renderli dei capisaldi del loro allenamento in sala pesi.

CONCLUSIONI

Bisogna evitare di stravolgere radicalmente una programmazione per quanto concerne gli esercizi quando vi è un cambio degli allenamenti, ma ciò non toglie che sostituirne un paio quando necessario va fatto per sopperire alle proprie necessità!
È importante non cambiare programma ogni due per tre, altrimenti non si riuscirebbero a generare degli adattamenti, che sono necessari per progredire ed un bodybuilder ricerca sempre gli adattamenti.


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CIFOSI DORSALE E DIAGRAMMA DI TENSIONE/LUNGHEZZA

È comune poter osservare soggetti che presenta cifosi a livello dorsale, col passare del tempo sono aumentati molto i soggetti sedentari e talvolta non viene praticata, o perlomeno non abbastanza, attività fisica in giovane età.
Ciò porta a mancanza di coordinazione e, insieme a posture scorrette, anche alla classica cifosi dorsale.

PERCHÉ SUCCEDE?

Vengono indotti dei cambiamenti a livello strutturale della lunghezza dei ventri muscolari e dei tendini.
I sarcomeri, non vanno più a trovarsi in una posizione di allungamento ideale con una corretta sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina (filamenti che si sovrappongono per formare i sarcomeri che a loro volta compongono i muscoli).

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Bensì, vanno a presentarsi già posti in allungamento e ciò è ovviamente un problema, in quanto può portare a problematiche sul lungo termine.

COSA COMPORTA IN PALESTRA?

In palestra un muscolo posto in una posizione di allungamento non ideale, che presenta quindi sarcomeri troppo allungati o accorciati, non potrà esprimere forza in maniera ottimale.
Quando un muscolo si trova in una posizione di allungamento ideale, è possibile osservare come già detto in precedenza, una corretta sovrapposizione di filamenti di actina e miosina, con conseguente formazione di un numero massimo di ponti trasversali e ciò porta a poter esprimere la massima forza possibile.
In caso contrario la forza espressa sarà nettamente inferiore, in quanto non ci sarà una corretta sovrapposizione di filamenti actino-miosinici, perché la forza che un muscolo può generare è direttamente proporzionale al numero di legami che si creano tra questi.
Un esempio pratico lo troviamo in esercizi che cominciano la fase concentrica partendo dal massimo allungamento, come ad esempio un curl su panca 45 gradi con gomito posto in avanti a fine eccentrica, oppure un pull over con manubrio, il carico utilizzabile non sarà elevato.
Lo stesso discorso vale per un muscolo che parte a lavorare in accorciamento.
Un muscolo che invece parte da una lunghezza ottimale, riuscirà a generare il massimo della tensione possibile, proprio per questo gli esercizi multiarticolari, che guarda caso sono quelli dove si riesce ad utilizzare il carico maggiore, vengono sfruttati per lavorare con alti carichi, perché il ventre muscolare è posto in una condizione di allungamento ottimale.

curl su panca 45, presenta il amssimo allugnamento del bicipite brachiale

COME POTER OVVIARE A CIÒ IN UN SOGGETTO CIFOTICO?

Un soggetto cifotico, presentando muscoli con una lunghezza non ottimale a quella che dovrebbero avere, non riuscirà ad esprimere molta forza, quindi andrà prima di tutto sistemata.
L’esercizio coi sovraccarichi è la chiave per risolvere questo problema e ce lo spiega la:

Legge di Borelli-Weber Fick

La quale afferma, che è possibile apportare cambiamenti strutturali alla lunghezza dei ventri muscolari e dei tendini a seconda del ROM utilizzato negli esercizi.
Questo perché, a seconda delle porzioni di ROM utilizzate o comunque della scelta degli esercizi, tenendo conto del ROM attivo che vanno a coprire, si possono appunto apportare dei cambiamenti strutturali.

Andando ad utilizzare esercizi che presentano il massimo allungamento possibile ed un accorciamento incompleto, determineranno nel tempo un allungamento del ventre muscolare interessato in toto.
Ciò è ovviamente sconsigliato per allenare muscoli già allungati, sarà utile invece per allenare dei muscoli accorciati.

Utilizzando esercizi che invece presentano il massimo accorciamento ed un allungamento parziali, si andrà a verificare un accorciamento del muscolo in toto e ciò risulta ottimale per muscoli allungati, al contrario, risulterebbe controproducente per muscoli già accorciati.

Un esercizio che invece presenta un accorciamento ed un allungamento incompleto, nel tempo porterà ad un accorciamento muscolare in toto, quindi sarà ottimale per muscoli lunghi e controproducente per muscoli corti.

Infine, sfruttando esercizi che presentano sia massimo allungamento che accorciamento, non vi saranno variazioni strutturali a livello di lunghezza dei ventri muscolari e dei tendini.
Di conseguenza, questa modalità, risulta la migliore da utilizzare su soggetti che non prevedono variazioni a livello strutturale.

CONCLUSIONI

Sarà dunque opportuno, prima di volersi cimentare in preparazioni agonistiche o altro, sistemare la propria postura tramite l’esercizio fisico, sia per un fattore prestazionale, ma soprattutto per evitare di incappare in problematiche future.
La sedentarietà è un nemico silente ed è bene combatterla per migliorare la propria vita a 360 gradi.

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CONTRAZIONI AUXOTONICHE ED ELASTICI

CONTRAZIONE AUXOTONICA: Una contrazione auxotonica è un tipo di contrazione muscolare, in cui la tensione aumenta in modo direttamente proporzionale all’accorciamento muscolare.


Questo tipo di contrazione, viene comunemente attribuita agli elastici, i quali, più vengono tesi e più aumenta la resistenza che vanno a generare.
Peccato che ciò risulti di base errato, questo perché se la definizione fosse corretta, contrazione auxotonica diventerebbe sinonimo di curva di forza ascendente, ovvero la resistenza che aumenta di pari passo con l’accorciamento muscolare.
Quindi, tutti gli esercizi che presentano un aumento del resistence profile (aumento di tensione) col procedere della fase concentrica, come nelle tirate per il dorso, o le alzate laterali, risulterebbero contrazione auxotoniche, nonostante non vengano utilizzati gli elastici.
Infatti, con l’ausilio di elastici in questi esercizi (con curva di forza ascendente), la variazione della resistenza non cambia, rimane sempre presente un aumento di tensione durante la fase concentrica, come avverrebbe coi pesi liberi.
Quindi, sembrerebbe che le classiche contrazioni denominate isotoniche, ovvero, le classiche eseguite in palestra, presentino un nome errato e che quello corretto sia contrazione auxotoniche.
Per di più, l’associazione di contrazione auxotonica, comunemente attribuita agli elastici risulta errata, anche perché, non per forza questi accessori permettono un aumento della resistenza durante la fase concentrica, talvolta in realtà, permettono di avere una resistenza più o meno costante durante la fase concentrica, se non decrescente in alcuni casi, questo però a seconda del tipo di movimento.
Anche per questo motivo non è corretto associare la contrazioni auxotoniche agli elastici, ma bensì alla curva di resistenza ascendente, quindi, quella tipica di tirate per il dorso, alzate frontali, laterali, ecc, in cui come già accennato, vi è un aumento della resistenza durante la fase concentrica.


QUINDI PERCHÉ GLI ELASTICI NON SONO CONSONI PER SVOLGERE ALLENAMENTI EFFICACI?


È vero, le contrazioni auxotoniche sono già presenti anche con i pesi liberi quando si utilizzano alcuni schemi motori, però l’ausilio degli elastici in questi esercizi peggiorerebbe la curva di forza già ascende, rendendola ancora meno uniforme.
Il cambio di tensione durante la fase concentrica verrebbe enfatizzato, generando un aumento più repentino rispetto a quello che si avrebbe con i pesi liberi, fino a rendere praticamente inutile il primo tratto di ROM e quasi inutilizzabile l’ultima porzione.
Infatti, se ci fate caso, la tensione risulta meno uniforme rispetto ai pesi liberi, (sempre tenendo in considerazione schemi motorie che presentano una curva di forza ascendente,) con un primo tratto in cui non vi sembrerà di far fatica e l’ultimo in cui imprecherete evocando qualsiasi divinità conosciuta per chiedere la ripetizione.
Ciò, farà sì che il coinvolgimento delle fibre sia direttamente proporzionale all’accorciamento muscolare ed il risultato sarà una porzione di fibre che resterà “deallenata” rispetto alle altre.
Questo perché, la serie terminerà quando non riusciremo più a completare le ripetizioni, peccato che se continuassimo a lavorare solo nella prima metà del rom, o in alcuni casi (a seconda di come tenderemo l’elastico) nei primi ¾ di ROM, noteremo come utilizzando solo questa porzione, il nostro muscolo sia in grado di continuare a lavorare.
Ciò è dovuto al fatto che, come già detto, le fibre coinvolte nelle prime porzioni di ROM non sono sottoposte ad una tensione che permetta di raggiungere il cedimento, al contrario di quelle presenti nelle ultime porzioni, le quali si esauriranno prima, perché sottoposte a tensione maggiore.
Questo è il motivo per cui gli elastici risultano comunque controproducenti per allenarsi con movimenti dinamici.
Tornano invece molto utili con alcune contrazioni isometriche.


QUANDO POSSONO TORNARE UTILI GLI ELASTICI?


Come abbiamo visto prima, gli elastici permettono anche, in alcuni casi, di rendere la curva di forza uniforme e quindi evitare che alcune fibre lavori meno rispetto ad altre.
Ciò è possibile in esercizi che presentano una curva di forza discendente (la tensione diminuisce con l’aumentare della contrazione muscolare), quali squat, panca piana, pressa, lento avanti, ecc…
In questi casi infatti, l’ausilio degli elastici risulta utile proprio perché permettono di avere una tensione uniforme lungo tutto il ROM.
Pensiamo ad un hack squat o una pressa, la tensione va a diminuire durante la fase concentrica, infatti, a fine ROM, al contario di ciò che avviene ad esempio nelle alzate laterali, in cui rimanere in pieno accorciamento muscolare risulta ostico, nei due esercizi prima citati risulta invece veramente semplice.
Quindi, in questo contesto gli elastici tornano davvero utili.


CONCLUSIONI


La denominazione di contrazione auxotonica viene associata erroneamente agli elastici, quando in realtà, anche coi pesi liberi talvolta utilizziamo schemi motori che le presentano.
Risultano però controproducenti per il cambio di tensione ancora più netto che andrebbero a presentare in questi esercizi, al contrario, con esercizi che presentano una curva di forza discendente, permetto di uniformare il diagramma di forza, cosa non da poco.
Quindi è bene evitare di allenarsi solo con gli elastici, ma non vanno demonizzati, bensì sfruttati con cognizione di causa in quanto possono tornare veramente utili.

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ROM ATTIVO E ROM ARTICOLARE DIFFERENZA

Il cosiddetto range di movimento o range of motion (ROM) ha una grande importanza durante l’esecuzione di un esercizio per massimizzare lo sviluppo muscolare.
Fra i parametri più importanti ai fini dello stimolo ipertrofico ci sono sicuramente l’intensità di carico, il volume, la densità e la frequenza di allenamento ma anche il range di movimento nell’esecuzione di un esercizio non deve essere sottovalutato.Il ROM o Range di movimento definisce la mobilità d’azione di un’articolazione – è definito come il numero di gradi compiuti da un segmento corporeo dalla posizione di partenza alla posizione finale, lungo il suo intero arco di movimento completo.

Quando si parla di ROM completo si tende a pensare all’anatomia funzionale dei muscoli, spesso dimenticandosi un fattore molto importante, ovvero, la resistenza e come questa varia lungo il range di movimento.
Un esempio banale lo possiamo avere con un curl su panca a 45 gradi, il ROM completo permette di ridurre praticamente a zero l’angolo del gomito, però la tensione non verrebbe mantenuta per tutto l’arco di movimento, in quanto a fine ROM ci si andrebbe a trovare con l’avambraccio perpendicolare al terreno e di conseguenza, col vettore forza che coincide con l’avambraccio e la tensione sul bicipite che va a perdersi.
Quindi non vi è la possibilità di utilizzare un ROM completo, per questo è necessario distinguere il ROM articolare da quello attivo.

ROM ARTICOLARE

Per non riportare tutta la definizione scritta sopra…
Il ROM o Range di movimento definisce la mobilità d’azione di un’articolazione, in soldoni comprende tutto l’arco di movimento che può compiere l’articolazione, quindi massima estensione e flessione raggiungibili.
Sempre utilizzando i bicipiti come esempio, il rom articolare del braccio eseguendo un curl, comprende tutto l’arco di movimento che può compiere il braccio senza tener conto della tensione muscolare.

ROM ATTIVO

Il ROM attivo comprende il numero di gradi compiuti da un segmento corporeo in tutto l’arco di movimento in cui può essere mantenuta la tensione a livello muscolare.
Questa distinzione esiste perché come già visto, il ROM attivo spesso non copre quello articolare, perdendo così qualche grado nell’arco di movimento.
Come anche in uno squat, con mancanza di mobilità si può incorrere durante l’esecuzione nella retroversione dell’anca, di conseguenza nonostante il ginocchio abbia un ROM articolare nettamente maggiore, sarà opportuno fermarsi fino a dove riesce ad mantenere la neutralità della schiena (ROM attivo).

L’IMPORTANZA DI UTILIZZARE UN ROM COMPLETO

Come già detto, utilizzare un ROM attivo completo durante lo svolgimento di ogni serie è molto importante, questo perché permette di coinvolgere un maggior numero di fibre muscolare, in quanto, in base alla porzione di ROM intervengono fibre differenti.
Quindi non sfruttare tutte le porzioni di ROM lasciarebbe “deallenate” parte delle fibre muscolari e i conseguenza ciò si tradurrebbe in guadagni minori.

GUADAGNARE QUALCHE GRADO EXTRA

Vi è però la possibilità di guadagnare qualche grado del ROM articolare sfruttando dei macchinari, prendiamo di nuovo in esempio lo squat, andare a sostituirlo con un hack squat, permetterebbe in caso di mobilità ridotta, di guadagnare qualche grado di lavoro, in quanto richiede meno mobilità.
Di conseguenza si riuscirebbe ad avere maggior lavoro sui quadricipiti, lo stesso vale anche con le croci, se eseguendo quelle coi manubri su panca si perde tensione verso gli ultimi gradi del ROM di movimento, eseguendole ai cavi si potrà ovviare a questo problema.

CONCLUSIONI

Se l’obiettivo è quello di massimizzare la crescita muscolare bisogna allenarsi con ripetizioni a range di movimento completo (full ROM). Prestare particolare attenzione alla posizione di massimo allungamento e accorciamento è fondamentale, tenendo però sempre conto della tensione generata dal carico e di conseguenza a non lavorare coinvolgendo anche porzioni di ROM in cui questa non è presente.

DRIMAGRIMENTO LOCALIZZATO, MITO O REALTÀ?

Il dimagrimento localizzato di cui ormai si sente parlare da anni, è un argomento che nell’ultimo periodo ha iniziato a non essere trattato con la medesima frequenza di prima…
Questo perché il dimagrimento localizzato inteso come perdita di adipe in una zona X non è fisicamente possibile, il nostro corpo purtroppo perde e accumula adipe in modo “uniforme”, ovviamente ci saranno zone che presentano una pliche più elevata rispetto ad altre.
Ciò è del tutto normale ed è causato dalla presenza di una maggior quantità di adipociti in una zona rispetto ad un’altra.
Arrivati qui vi starete chiedendo perchè io stia scrivendo un articolo in merito se è una cosa che va contro la fisiologia umana…
Il motivo è che c’è un “però”, ho scritto che il dimagrimento localizzato per come viene inteso nell’immaginario comune non esiste, ma bensì è possibile migliorare la resa estetica a livello di qualità su qualsiasi gruppo muscolare operando nel modo corretto.
Mi raccomando, niente creme bruciagrassi, non è quello il modo corretto.

Il grasso ostinato è determinato da una moltitudine di fattori:

-Vascolarizzazione

-Recettori adipocitari adrenergici

-Numero di adopociti predisposti geneticamente

-Estrogeni

-Distribuzione dei liquidi tra il compartimento intra ed extracellulare

-Etc

Infatti le gambe, sono anche uno dei gruppi più sfortunati proprio per i motivi scritti sopra, ovviamente come al solito tutto dipende dal soggetto, però nella norma è così. Infatti sono anche uno dei gruppi muscolari più difficile da portare a livello dell’upper come tiraggio/resa estetica.

La scienza ufficiale nega la possibilità che si verifichi la spot reduction, sostenendo che il dimagrimento è sempre e comunque generalizzato. Peccato che gli studi su cui si basa presentassero alcuni limiti e possiamo anche aggiungere che alcuni dei ricercatori affermano che sia possibile anche se irrisorio.

QUINDI ESISTE O NO QUESTO DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO?

L’aumento del lavoro in una zona X, soprattutto se si tratta di un lavoro metabolico, porta ad un aumento della capillarizzazione e della densità mitocondriale, fattori che favoriscono sia la lipolisi che il trasporto e l’ossidazione degli acidi grassi liberati.
Questo perché viene migliorata l’efficienza dei tessuti.
Come funziona tutto ciò?
La vascologenesi è stimolata dall’ipossia (la mancanza di ossigeno), dal danno tissutale e dalle richieste metaboliche di un tessuto.
Un TUT (time under tension) più lungo genera uno stato di ipossia più prolungato e talvolta “forte”, ciò porterà ad un maggior rilascio di fattori di crescita angiogenetici.
Per di più il danno muscolare genera infiammazione, e l’infiammazione porta con sé iperemia locale che sul lungo periodo porta alla genesi di nuovi capillari.
Il problema è che appunto tutto ciò avviene nel LUNGO PERIODO, quindi richiede svariati mesi, oltre che un percentuale di massa grassa piuttosto bassa.
Infatti durante le preparazioni per le competizioni si tende spesse ad inserire dei lavori di capillarizzazione.

Vi riporto la mia piccola esperienza personale…

Durante la preparazione per le invernali del 2019, su consiglio di Marcello Del Fitto, che è il mio attuale coach ed è uno dei motivi per cui mi sono convinto a farmi preparare da lui dopo le ultime gare è stato proprio che mi ha consigliato di inserire la seguente metodica per i glutei:

7,30” minuti totali di circuito, 3 esercizi della durata di 2 minuti l’uno con un recupero di circa 30” secondi tra ogni serie. Peso basso, si comincia…
Bisogna mantenere un tut fluido e controllato, ovviamente ricercando il massimo accorciamento ed il massimo allungamento permessi del gruppo muscolare interessato, con l’imposizione di fermarsi e recuperare non appena sopraggiunge una leggera sensazione di calore, non bisogna mai arrivare al classico bruciore causato dallo stato di ipossia.

Personalmente posso dire di aver visto un netto cambiamento a livello estetico sui glutei, dieta a parte, la qualità rispetto alle gare precedenti in quella zona è stata totalmente rivoluzionata, per la prima volta ho viste delle righe sul culo.

È UN DISCORSO GENERALE?

Certo! Basterebbe osservare i polpacci di cui li utilizza molto come gli alpinisti, togliendo i volumi maggiori che presentano, hanno anche una qualità non indifferente.
Stesso discorso per gli altri gruppi muscolari, addome compreso, tra l’altro questo dovrebbe essere un incentivo interessante per allenarlo.
Sarebbe ottimale per favorire ciò, vista la necessità di un ambiente metabolico lipolitico, iniziare la seduta con uno stato di leggera ipoglicemia, come ad esempio la mattina a digiuno.

CONCLUSIONI

Il dimagrimento localizzo quindi esiste, non come viene inteso nell’immaginario comune ma c’è! Però richiede un gran lavoro per far sì che avvenga, già solo arrivare ad una bodyfat piuttosto bassa richiede un certo impegno nella maggior parte dei casi.