STRETCHING, utilità e luoghi comuni

Il tanto amato, quanto conosciuto e erroneamente, poco utilizzato “stretching”, è ormai parte integrante della routine di qualsiasi sportivo, venendo utilizzato dal semplice riscaldamento, defaticamento, ad una vera e propria cura ai dolori articolari e si divide in Statico e Dinamico.

Prima di proseguire un piccolo appunto in merito alle due tipologie di stretching sopra citato per chi è meno avvezzo:

-Stretching statico: consiste nel mantenere l’allungamento del muscolo target in posizione, come si evince dal nome, statica, per un dato lasso di tempo.

-Stretching dinamico: consiste nel ripetere più volte di seguito movimenti atti ad aumentare gradualmente l’allungamento del muscolo.

STRETCHING E PESISTICA, COME E PERCHÉ?

Lo stretching, per quanto talvolta molto trascurato, se inserito in un contesto come quello del culturista assume tutt’altra connotazione rispetto a quella che è solita avere, in quanto non si tratta più solo di semplice prevenzione o performance, bensì di estetica.

Quando ci alleniamo coi sovraccarichi con lo scopo di plasmare il nostro corpo, abbiamo la necessità di riuscire a reclutare le fibre muscolari che ci interessano nel modo in cui ci interessano e avere la possibilità di sfruttare un ampio ROM in quanto il muscolo X è in grado di sfruttare un buon allungamento risulta molto utile.

SFATIAMO QUALCHE FALSO MITO

-Prima di proseguire però volevo andare a sfatare qualche falso mito in merito allo stretching partendo subito dalla leggenda che eseguire degli esercizi con stretching statico porti a ridurre il dolore.

In realtà non è assolutamente così, in quanto ciò porta solo ad una sensazione di benessere momentaneo data dall’allungamento, questo perché l’allungamento di un muscolo affatico è piuttosto dolorosa e ciò porta ad una sorta di confusione nel SNC che rielabora il dolore precedentemente percepito nullo a confronto di quello provato durante lo stretching.

-Lo stretching non previene gli infortuni in quanto questi avvengono in range articolari medi a velocità superiori e anzi, in alcuni casi un’eccessiva flessibilità può incrementare il rischio di infortuni.
Infatti nel powerlifting non è ricercata un’elevata flessibilità, in quanto andrebbe a ridurre la forza espressa.

-Lo stretching eseguito su un muscolo affaticato non ne migliora il recupero ed anzi, può creare ulteriore danno tissutale dilatando i tempi di recupero, infatti talvolta viene anche utilizzata come tecnica di intensità in allenamento.

-Lo stretching statico pre allenamento non migliora le prestazioni ed anzi, le peggiora in quanto va ad allontanare i ponti tra actina e miosina facendo perdere al muscolo capacità di esprimere forza.

Lo stretching statico quindi a fine riabilitativo o di performance è piuttosto sopravvalutato, perché visto il tempo impiegato non apporta grandi benefici, può però tornare utile in contesti come il bodybuilding come abbiamo visto sopra, se riusciamo a reclutare meglio un gruppo muscolare ci stiamo anche allenando meglio.

COME FUNZIONA LO STRETCHING

Lo stretching statico può portare col passare del tempo a migliorare l’allungamento dei muscoli, questo però non avviene tramite un vero e proprio allungamento strutturale delle fibre muscolari, bensì tramite l’azione che questo ha sui fusi neuromuscolari.

I fusi neuromuscolari sono recettori disposti all’interno del muscolo ed incaricati di proteggerlo da allungamenti eccessivi, infatti nel momento in cui i muscoli vengono allungati anch’essi si stirano inviando dei segnali al nostro SNC, che in caso di eccessivo allungamento lo portano ad accorciarsi.

Lo stretching infatti agisce su queste strutture aumentando la capacità di queste strutture aumentando la sensibilità massima nei range di allungamento.

STRETCHING GLOBALE ED ANALITICO/SELETTIVO

Lo stretching si divide in globale attivo e statico selettivo la cui differenza sostanzialmente sta nel fatto che nel primo viene considerata l’intera catena muscolare, mentre nel secondo no.

Il primo prevede l’allungamento globale delle catene miofasciali con l’aiuto di contrazioni isometriche eccentriche eseguite dal soggetto, mentre il secondo prevede la messa in allungamento del singolo muscolo in maniera graduale fino al raggiungimento del massimo allungamento, la cui posizione verrà poi mantenuta per 30 secondi.
Ciò deve avvenire in maniera graduale come scritto per evitare di incorrere in infortuni da lesioni muscolari e per evitare di innescare il riflesso miotatico da stiramento.

Da preferire in ambito riabilitativo lo stretching globale attivo, in quanto quello statico selettivo può portare a creare compensi ed in più nel caso dello stretching globale vi è la partecipazione attiva del soggetto in questione.

Dobbiamo ricordare che l’allungamento muscolare che otteniamo con gli esercizi di stretching si traduce in un’informazione per il nostro Sistema Nervoso Centrale. Se questa informazione non viene “fissata” in modo attivo, (esplorando il nuovo ROM acquisito con movimenti contro resistenza) dopo poco tempo si andrà a perdere.

Ve lo posso confermare anche parlando per esperienza personale, ho avuto molti più benefici arrivando a raggiungere ottimi gradi di mobilità articolare nel tempo senza dedicare molto tempo allo stretching, semplicemente ricercando il massimo ROM possibile durante l’allenamento in sala pesi, andando di volta in volta a ricercare qualche cm in più.
Così facendo sono quasi riuscito ad eseguire la spaccata.

COSA E QUANDO FARLO?

Nel caso volessimo mantenere una buona flessibilità muscolare dello stretching globale o selettivo possono essere utili, ancor meglio un mix tra i due, per di più possono migliorare la postura (grazie alla legge di Borelli Weber Fick) oltre che la percezione di un dato gruppo muscolare, cosa assolutamente da non sottovalutare in una disciplina in cui l’estetica è tutto.

Mi raccomando però, con ciò non voglio dire sia fondamentale, assolutamente, rimane una pratica utile ma non strettamente necessaria a questa disciplina, sicuramente però risulta molto utile per soggetti ipomobili o sedentari.

Il momento in cui poi risulta più utile eseguirlo è in sedute prettamente mirate a questo, dato che come abbiamo già visto eseguirlo pre o post non va a portare benefici ed anzi, nel primo caso riduce anche le prestazioni.

CONCLUSIONI

Lo stretching come abbiamo visto può essere utile, ma in modo ben diverso da ciò che si crede grazie ai classici luoghi comuni.
Se volete dedicargli del tempo ricordatevi di eseguirlo lontano dalle sedute di allenamento e di utilizzare un buon mix tra lo stretching globale attivo e quello statico selettivo.

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DOPING, COSA COMPORTA E QUALI SONO GLI EFFETTI?

Questo articolo è a pure scopo informativo e non vuole incitare all’uso del doping.

È ormai ben risaputo che il doping faccia parte del bodybuilding e la sua assunzione comporta molteplici fattori sia positivi, che di rischio e può talvolta arrivare ad influenzare anche la propria vita alterando lo stato emotivo di chi ne fa uso…

Ma che cos’è il doping?

Essenzialmente il doping è una pratica che prevede l’assunzione di farmaci, più precisamente ormoni, questo per ottenere quantità nettamente superiore rispetto a quelli già prodotti endogenamente.
Questa pratica, com’è ben noto, serve per ottenere aumenti di prestazioni e massa muscolare in maniera più repentina, oltre ad arrivare ad un livello nettamente più alto di quello che ci sarebbe fisiologicamente permesso.

COME FUNZIONA?

Come già accennato sopra, ciò è possibile grazie alla somministrazione di ormoni, si tratta principalmente di testosterone e derivati, peptidi quali GH, insulina, IGF1 e tutti gli altri “parenti” di queste molecole.
In concomitanza vengono assunti solitamente altri farmaci, come ad esempio quelli volgarmente denominati antiestrogeni, che servono a mantenere un equilibrio con gli ormoni somministrati esogenamente.

Somministrando questi ormoni anabolizzanti, si va ad ottenere un aumento della sezione trasversa del muscolo, in quanto portano a generare maggior ipertrofia, per quanto concerne i fattori di crescita come ad esempio il GH, la storia cambia, si genera sempre un aumento di volume, oltre ad altri effetti che presenta, però non è dovuto all’ipertrofia, bensì, all’iperplasia, ovvero l’aumento del numero di fibre muscolari, questo grazie alla mitosi cellulare che ne consegue alla sua somministrazione.
Se nel primo caso infatti, cessando allenamenti e somministrazione esogena degli ormoni in questione, si andrebbe a verificare una perdita di volume, in quanto il maggior volume è appunto permesso dall’espandersi delle fibre muscolari, nel secondo invece, i guadagni verrebbero mantenuti a pieno, visto che appunto sono tali grazie all’aumento del numero di fibre, che una volta create non possono “sparire”.

QUALI SONO I BENEFICI?

I benefici sono molteplici e variano a seconda delle molecole utilizzate e della sinergia che viene a crearsi tra loro in base a come vengono combinate.
Sicuramente il più noto e comune a tutti è l’aumento di volumi muscolari come già scritto, grazie ad ipertrofia ed iperplasia delle cellule muscolari, dopo di che, appunto a seconda di ciò che si va ad assumere si possono ottenere diversi effetti:

-Un aspetto più denso e roccioso

-Diminuzione della ritenzione idrica

-Aumento della lipolisi

-Recupero più rapido

-Capacità di sopportare volumi, intensità e frequenza elevati in allenamento

-Aumento marcato della libido

-Rapidi aumenti di forza

Questi sono solo alcuni dei principali effetti benefici che si vanno a riscontrare, ma non è tutto oro quel che luccica e spesso c’è un prezzo da pagare.

EFFETTI NEGATIVI

Quando vengono assunti farmaci anabolizzanti, si ottengono sì svariati benefici, ma si va al contempo incontro ad effetti negativi, comunemente denominati “SIDES”.
Questi possono essere molteplici e variano di caso in caso:

-Acne: alcuni soggetti, se predisposti all’acne possono ritrovarsi un campo minato di brufoli, ciò può essere causato dal lato androgeno dei prodotti in questione e talvolta dall’affaticamento epatico.

-Rabbia: di base, somministrando ormoni con una componente androgena, più o meno marcata a seconda delle molecole, si può riscontrare aumento dell’aggressività, quindi state attenti a cosa fate quando il vicino vi guarda male.

-Alopecia: in alcuni soggetti causa la perdita di capelli, per questo si sente spesso parlare di trapianti in merito in questo ambiente.

-Virilizzazione: questo interessa più che altro il gentil sesso, che può ritrovarsi con dei tratti maschili più marcati con l’assunzione di anabolizzanti, come ad esempio abbassamento del tono della voce, maggiore peluria in posti in cui non dovrebbe esserci, viso non ne parliamo poi, aumento del volume del clitoride e via dicendo…

-Epatossicità: tossicità a livello epatico causata da molecole denominate alchilati, principalmente i classici orali che presentano l’aggiunta di un gruppo metilico sulla catena per renderle biodisponibili, altrimenti non potrebbero essere metabolizzate.

-Soppressione dell’asse: con la somministrazione esogena cessa la produzione endogene di testosterone.

-Squilibri a livello lipidico: rapporto tra HDL ed LDL che va ad alterarsi in maniera negativa (colesterolo).

-Aumento della pressione sanguigna.

-Ipertrofia degli organi interni

Questi sono i principali effetti collaterali a cui si va incontro, ovviamente la risposta è influenzata in primis dai dosaggi e tempi di assunzioni, maggiori sono questi, maggiori saranno i sides ed in secondo luogo dal soggetto…
La risposta è prettamente soggettiva, infatti non è comune trovare utenti che facendo uso non hanno mai riscontrato nessuno di questi problemi ed altri che anche solo con dosaggi oggettivamente bassi si ritrovano prossimi alla tomba.

QUANDO TERMINO UN CICLO COSA SUCCEDE?

Al termine di un ciclo si può incorrere in fenomeni depressivi, questo perché nonostante gli anabolizzanti non creino dipendenza fisica, possono crearla a livello psicologico.
Questo è dovuto all’euforia che portano durante il periodo di assunzione, nel quale ci si sente come dei “superman”, forti, vigorosi, attivi e motivati, tutte cose che però cessano col termine del ciclo di anabolizzanti.
Oggettivamente chi avrebbe voglia di vedersi “peggio”?
Nessuno, per di più, quando si termina il ciclo ci si ritrova talvolta con l’umore a terra, complice del fatto la soppressione dell’asse, ritrovandosi con una produzione di testosterone endogena irrisoria o addirittura azzerata si incombe in questo down emotivo.
Aggiungiamo a ciò anche il fatto che ci si senta deboli, irritabili e si sia più soggetti ad infortuni ed il gioco è fatto, ci ritroviamo con una persona triste che smania per ricominciare, infatti è proprio questo che talvolta porta agli abusi di anabolizzanti, il fatto di volere sempre di più senza avere pazienza.

Per questo motivo vengono fortemente sconsigliati a soggetti che soffrono di disturbi psicologici legati alla propria condizione fisica, spesso correlati ai classici DCA.
A maggior ragione andrebbero evitati in questi casi, un soggetto a disagio col proprio corpo e con un pessimo rapporto dal punto di vista alimentare è una facile preda di questi meccanismi intrinsechi della nostra psiche.
Infatti, quando si tratta di soggetti che presentano problematiche a livello alimentare, si sente spesso parlare di problemi a livello cardiaco e non solo come conseguenza all’uso di anabolizzanti, perché come un’anoressica vuole essere sempre più magra, anche chi soffre di abbuffate/bingeating cercherà invano di dimagrire, finendo entrambi spesso ad abusare dei classici fat burner quali clenbuterolo, efedrina, dnp, tiroidei e via dicendo.
I fat burner sono alcuni dei farmaci più pericolosi per gli effetti collaterali che presentano e si finisce ad abusarne per tamponare la mancata capacità di seguire un regime alimentare, quando in realtà andrebbero utilizzati, sempre se necessario, sporadicamente e con moderazione, anche perché si può andare in gara raggiungendo condizioni degne di nota senza, tutto sta in quanto l’atleta è disposto a fare “sacrifici” a livello alimentare.

COME PROTEGGERSI?

Ridurre a zero gli effetti collaterali è pressoché impossibile, purtroppo i rischi ci sono per tutti, però si può cercare di prevenirli o ridurli.
Per fare ciò è necessario in primis avere un regime alimentare considerabile sano, quindi quantitativi calorici adeguati al soggetto e fonti di qualità, evitando pasti esageratamente abbondanti, per questo si vede spesso fare ai culturisti più pasti, non appesantire la digestione è un buon inizio per arrecare meno “danni” al corpo.
Dopo di che sono necessari controlli periodici per quanto riguarda esami del sangue, ecografia e radiografia per fegato e cuore.
Infine tramite integratori quali:

-omega 3

-silimarina

-NAC

-Glutatione

-Vit d3

-Acido alfa lipoico

Questi possono essere un valido sostegno per fegato e cuore.

CONCLUSIONE

I farmaci anabolizzanti danno tanto come possono togliere altrettanto e per quanto non andrebbero mai assunti, per di più si tratta di prodotti non reperibili legalmente…
Per quei pochi che decidono di approcciarsi a questo mondo, è fondamentale affidarsi a qualcuno che abbia a cuore la loro salute, oltre ad essere realmente preparato in merito con nozioni scientifiche e non le classiche da bro science.
Non stiamo parlando di caramelle, bensì di veri e propri farmaci e come tali possono essere molto pericolosi.

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QUANTO ANDREBBE TENUTO UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO?

“Coach, è finita la scheda, dobbiamo cambiarla”, la classica frase che si sente quando è il momento di procedere col nuovo protocollo, però è realmente finita la scheda quando viene cambiata?

Sì, so che questa domanda suonerà strana ma ha un suo perché….

È vero che su ogni protocollo troviamo una data della teorica fine di questo, ma una volta arrivato il fatidico giorno bisognerebbe “sedersi” e riflettere se davvero il protocollo è stato spremuto a dovere e purtroppo la maggior parte delle volte non è così.

Un protocollo non finisce quando arriva la data di fine riportata sul programma, un protocollo finisce quando abbiamo carpito e spremuto ogni singola sfaccettatura da esso, ogni singolo esercizio, in ogni singola serie, solo allora andrebbe cambiato.

Vedo di spiegarmi meglio, quando iniziamo un nuovo programma di allenamento, nel tempo riusciamo, bene o male, a progredire con le ripetizioni e coi carichi, fino a che non arriviamo ad uno stallo…

Ecco, solo in quel caso andrebbe cambiato un programma, perché farlo altrimenti?

GAS

Per chi non lo sapesse, dico ciò, perché il principio che sta alla base dell’ipertrofia è la presenza di uno stimolo progressivo nel tempo su intensità, densità e volume, questo per via della GAS (general adaptation syndrome).

Per chi non lo sapesse, la GAS è un insieme di fasi legate ad un processo che ha come fine la sopravvivenza, avete presente il funzionamento del comportamento attacco/fuga?
Ecco, si tratta del processo legato ad esso, sostanzialmente va a descrivere l’adattamento degli organismi viventi agli stress, cioè stimoli esterni che disturbano il loro equilibrio interno…
Questo avviene in tre fasi:

Prima fase, allarme:

Questa fase si attiva quando si riceve uno stimolo esterno che porta ad un forte picco di stress, durante la quale si liberano già i mediatori chimici della fase cronica (Resistenza).
Le conseguenze sono un aumentato stato di allerta e può innescare circoli viziosi di rinforzo per condizionamento dell’esperienza memorizzata e ciò porta ad un decremento dell’energia per le 6/48 ore successive.

Seconda fase, resistenza:

La Fase di Resistenza comincia circa dopo 48 ore, potenzia e mantiene nel tempo la risposta immunologica ed ormonale stress correlata, fino al raggiungimento del superamento del limite di resilienza del Sistema, la cui durata è direttamente proporzionale allo stress “subito”, detta fase di…

Terza fase, esaurimento:

La fase di esaurimento si verifica nel caso in cui il corpo venga costantemente sottoposto a stimoli e non riesca a recuperare.

Prendiamo come esempio una semplice abbronzatura…

Ci sdraiamo al sole per un breve lasso di tempo e continuando a farlo in maniera graduale, pian piano la nostra pelle varierà pigmentazione, portandoci ad assumere quel colorito olivastro che tanto ci piace.

Se però dovessimo esporci al sole per troppo tempo, arriveremmo ad ustionarci o beccarci un bell’eritema solare e se lo sfregamento fosse eccessivo si formerebbe un’ulcerazione sulla pelle.

Questo perché se con piccoli stimoli a cui il corpo può sopperire con la fase di resistenza otteniamo il colore che vogliamo, con stimoli troppo forti, otterremo un effetto indesiderato, che nel caso dell’allenamento si traduce in overreaching o overtraining.

Quindi, come nel bodybuilding, il bilanciere che ci schiaccia è lo stimolo e la risposta ipertrofica è l’adattamento, pertanto è importante che al bilanciere venga applicata una progressione, così che possa generarsi sempre nuova ipertrofia.

QUANDO SI PUÒ RITENERE PORTATO A TERMINE UN PROTOCOLLO DI ALLENAMENTO?

Ora che abbiamo compreso cosa permette di generare ipertrofia, sarà anche più chiaro perché non andrebbe impostata una data di scadenza per un determinato programma di allenamento.

Questo perché, finchè vi è margine di progressione, è un peccato cambiare protocollo di allenamento, visto che comunque lo stimolo progressivo è presente e si continua a migliorare, passare prematuramente ad un altro protocollo farebbe sì che buona parte di ciò che si sarebbe potuto ottenere da quegli allenamenti venga buttato nel gabinetto, un po’ come quando si mangia del formaggio, se non si taglia a dovere la crosta ne viene buttato via tantissimo.

Prendo come esempio me stesso, talvolta sono arrivato a mantenere un protocollo di allenamento anche per più di 4 mesi visto che continuavo a progredire, o basti pensare anche solo a Dorian Yates, nome mille volte più illustre e attendibile del mio, che era solito seguire il medesimo protocollo fino anche a 6 mesi,
A detta sua si riscopriva in ogni allenamento, arrivando sempre un gradino sopra.

Ovviamente questi sono estremismi, ma rendono bene l’idea, in ambito natural sicuramente il margine di miglioramento con carichi e/o ripetizioni nello stesso protocollo non sarà così ampio per ovvi motivi, ma sicuramente c’è la possibilità di mantenere più di quanto viene solitamente fatto lo stesso allenamento.

CONCLUSIONI

In conclusione, non abbiate fretta di passare al programma successivo, spremete a fondo quello che avete, spremetelo accanendovi sui pesi come fossero il vostro peggior nemico, cercate ogni volta di alzare anche solo di una ripetizione sul totale, di migliorare il controllo, il feeling, dovete riscoprirvi e scoprire qualcosa di nuovo ad ogni allenamento, solo allora potrà considerarsi portato a termine il programma.

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STACCO SUMO E STACCO REGULAR: QUALE SCEGLIERE?

“È meglio lo stacco sumo o lo stacco regular?”, questa domanda mi viene posta molto di frequente dai ragazzi che alleno, in quanto come ben sanno, sono un grande amante di queste alzate e come al solito la mia risposta è “dipende”, so che la odiate ma purtroppo è così, non c’è mai una risposta corretta per tutti, bensì, è la soggettività a fare da padrone.

Per questo articolo ho deciso di rifarmi ad uno di Greg Nuckols: https://www.strongerbyscience.com/should-you-deadlift-conventional-or-sumo/
In modo tale da poter rispondere nel modo più completo e preciso possibile.

Se il soggetto in questione allena lo stacco per la forza generale e non con particolari pretese consiglierei quanto detto da Greg Nuckols, ovvero di allenarli tutti a due per un po’ con carichi sub massimali e poi decidere in base a quello che ha regalato il miglior feeling.

In caso però ci fossero obiettivi ben specifici, bisogna andare per gradi, prima stabilire il fine per cui viene utilizzato, quindi se per l’ipertrofia o la forza, o meglio, se per il bodybuilding o il powerlifting.

IPETROFIA

Nel primo caso, se lo stacco come fine ultimo ha la ricerca dell’ipertrofia, bisognerà regolarsi in base alle predominanze dei vari gruppi muscolari del soggetto in questione, a seconda di ciò sarà possibile decidere quale versione utilizzare.

Per fare questo infatti bisogna prima di tutto capire a livello anatomico quali sono i fasci muscolari coinvolti ed in che proporzioni lo sono nello stacco regular e nella versione sumo.
In questo modo sarà possibile scegliere l’alzata più idonea al soggetto in questione, c’è bisogno di più lavoro sul dorso, uno stacco regular sarà sicuramente più efficace rispetto ad un sumo in cui il lavoro a carico del back è inferiore ed è maggiore invece quello a carico del lower.

In secondo luogo va valutato il feeling del soggetto, perché, se la versione più idonea è quella con cui ha il peggior feeling piuttosto è meglio prediligere l’altra, oppure, eliminarlo proprio dalla routine.
Eliminarlo perché oggettivamente è inutile/controproducente andare ad utilizzare per forza un’alzata in cui la spesa è maggiore del guadagno.

FORZA

In ottica di “forza”, la scelta dello stacco diventa ben più complessa, in quanto è necessario considerare l’anatomia del soggetto che deve andare ad eseguirlo e più che una questione di lunghezza delle leve, i punti fondamentali da tenere in considerazione sono altri…

In primis va tenuta in considerazione la conformazione dell’anca in quanto va ad impattare sul carico sollevato, dato che influenza la capacità di assumere determinate posizioni nello stacco.

Il bacino è geneticamente differente in ciascun individuo, in termini di grandezza e forma.
Sappiamo che nel bacino va ad incastrarsi, tipo le lego, la testa del femore.
Questo incastro avviene nell’acetabolo del bacino e comprende appunto il bacino ed il femore.
Bacino e femore, in individui diversi, sono diversi.
Abbiamo tutti una conformazione di bacino e femore diversa e questo determina le posizioni che possiamo assumere.
Quindi è possibile trovare tre strutture del bacino…

Al primo posto possiamo vedere la struttura di un bacino neutrale, in quanto presenta un’inclinazione del femore ed un acetabolo neutrali.
Questa struttura è una via di mezzo che permette di scegliere bene o male quale set up assumere nello stacco.

Al secondo posto possiamo vedere una struttura che prende il nome di vara come le ginocchia quando tendono verso l’esterno.
Questo renderà difficoltoso assumere stance piuttosto ampie come nel sumo, in quanto nel momento che il soggetto interessato tenderà ad abdurre il femore, quindi a portarlo verso l’esterno, questo troverà un blocco articolare nel suo percorso, che non gli permetterà di andare molto oltre.
In questo caso sarà sicuramente meglio prediligere lo stacco regular.

Al terzo posto invece troviamo una struttura valga, in questo caso sarà possibile utilizzare stance molto ampie ed al contrario si troveranno problemi ad utilizzare stance “strette”, come nel regular.

In secondo luogo bisogna levarsi dalla testa l’idea che il sumo permetta di alzare più kg rispetto al regular perché il ROM è ridotto e vi spiego subito il perché…

Intanto basti pensare che la maggior parte dei record di stacco al mondo sono stati fatti utilizzando il regular e se il sumo fosse effettivamente così semplice da eseguire rispetto al regular il mondo sarebbe pieno o di eroi coraggiosi che preferiscono sacrificarsi pur di essere maschi, o di idioti…

Aspettate però, non voglio dire che il sumo effettivamente non riduca il ROM, sarebbe come dire che la terra è piatta, semplicemente che questo non è un fattore così rilevante.

Analizzando l’articolo di Greg Nuckols:

Uno stacco con carico massimale, in genere, viene eseguito in meno di 5 secondi. Quando lo stacco è molto grindato potrebbe arrivare fino a 10 secondi.

Bene, in questo arco di tempo, le scorte di energie dedite ad eseguire questo lavoro sono più che sufficienti per completarlo.
Le scorte di ATP e Fosfocreatina sono sufficienti per garantire sforzi massimali fino ai 8-10 secondi.
Quindi la differenza di lavoro puramente meccanico che viene citata, quando si fa riferimento al ROM, potrebbe essere tenuta in considerazione su lavori ad alte ripetizioni, ma noi ora stiamo parlando di lavori con l’1RM.

L’idea che il sumo regali più kg nasce anche dal fatto che l’anca deve compiere un tragitto più breve nel sumo per arrivare alla completa estensione, al contrario del regular in cui il tragitto è più lungo, ma c’è un “però”…

Purtroppo, la biomeccanica non funziona proprio così.
Quello che stiamo analizzando così facendo è solo il piano sagitale, fronte e retro, su cui viene eseguita l’alzata, in realtà, quando andiamo ad abdurre il femore per posizionarci con il sumo, ci spostiamo anche su un altro piano, quello frontale, destra e sinistra.

Quando apriamo la mente al fatto che le dimensioni in cui ci muoviamo sono multiple e non più una sola, quindi non solo quella fronte e retro, ma anche quella destra e sinistra, diventa più chiaro che la larghezza della stance, non è più così determinante come poteva essere nella vista esclusivamente saggitale, fronte e retro.

CONCLUSIONI

Dopo quanto appena letto possiamo dedurre in primis che sumo e regular differiscono nel lavoro a livello muscolare in quanto il primo coinvolge maggiormente i quadricipiti ed il secondo il dorso.
In secondo luogo che la scelta dello stacco, una volta valutata la conformazione del bacino, dipende prettamente da quale regala il miglior feeling e di conseguenza, per decidere quale utilizzare, la cosa migliore da fare sarà lavorare, con entrambi utilizzando carichi submassimali, in modo tale da avere la risposta che cerchiamo.

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FORZA E BODYBUILDING, come e perchè allenarla

“Forza”, è un termine molto comune e bene o male sulla bocca di tutti, assumendo però differenti connotazioni in base all’ambito in cui viene trattata, basti pensare alla fisica che definisce la FORZA come massa x accelerazione.

La reale definizione di forza in ambito sportivo però è la seguente:

“La FORZA è una capacità condizionale, ovvero una capacità che necessita di essere condizionata (allenata) con continuità per far sì che si migliori o si mantenga nel tempo.
Le capacità condizionali, dipendono principalmente dalle qualità dell’apparato locomotore e dai processi fisiologici di produzione dell’energia. “

Così direi che abbiamo un quadro sicuramente ben più chiaro di cosa sia la forza in ambito sportivo, perché aimè sì, purtroppo col termine forza non si intende semplicemente spostare più kg dato che può assumere differenti connotazioni.
Infatti abbiamo più tipologie di forza in campo sportivo:

Forza massimale: Questa sta indicare il massimo carico mosso per una ripetizione, indipendentemente dal tempo impiegato.

Forza esplosiva: Questa si riferisce al massimo carico mosso nel minor lasso di tempo possibile.

Forza resistente: Questa indica il massimo tempo in cui un muscolo riesce a rimanere contratto e quindi il numero massimo di ripetizioni eseguibili per il muscolo target.

Infatti, visto che cambia la differenza in termini di prestazione, cambia anche la tipologia di allenamento per questi tre tipi di forza, oltre le discipline in cui vengono ricercate.
Infatti nel bodybuilding sicuramente le prime due tipologie di forza, soprattutto quella esplosiva, avranno un ruolo marginale, basti pensare ai range di ripetizioni ed i TUT mediamente utilizzati nelle sedute di allenamento.

Le prime due tipologie di forza sono più ricollegabili ad altre discipline, come ad esempio:

-Atletica: in cui un aumento della forza permette di avere maggiori prestazioni.

-Pesistica olimpica: in cui abbiamo la massima espressione di forza esplosiva, perché si, sempre di allenamento con i sovraccarichi si parla, ma pensiamo alla rapidità che questi atleti devono dimostrare quando vanno ad “infilarsi” sotto 200kg nello strappo.

-Powerlifting: in cui si ricerca prettamente la forza massimale, in quanto lo scopo della disciplina è aumentare i proprio carichi nelle tre grandi alzate, stacco, squat e panca.

ALLENARE LA FORZA

Tornando a parlare di bodybuilding l’allenamento della forza inteso sia come forza resistente, che massimale, è parte integrante di questa disciplina nonostante il fine ultimo sia un altro, l’ipertrofia.

Questo perché allenare la forza, non solo riduce il rischio infortuni e migliora la padronanza del pattern motorio, ma permette di manovrare carichi sicuramente più elevati, i quali porteranno ad una maggior tensione, che si tradurrà in maggiore stress generato dalle strutture coinvolte e di conseguenza maggiori guadagni ipertrofici.

Come già detto però, la forza non è il fine ma un mezzo per avvicinarci più rapidamente al nostro obiettivo e quindi sarà inutile cercare di lavorare con un 1RM, oltre ad un maggior rischio infortuni.
È ben risaputo che il range di ripetizioni più proficuo per l’ipertrofia è ben lontano dal numero “1”.
Sarà sicuramente più utile cercare di progredire coi carichi nei range di ripetizioni appunto, più proficui per l’ipertrofia.

Il tipo di allenamento da eseguire però non è mai uguale, nonostante lo scopo sia quello comune a chiunque pratichi questa disciplina, in quanto, come per ogni singolo aspetto in questo ambito, la soggettività fa da padrone.

Dipende in primis dalla livello del soggetto e poi dalla fase della programmazione in cui ci si trova, ad esempio su un soggetto avanzato in pre gara sicuramente non andremo a lavorare a basse reps con multiarticolari ricercando una progressione sui carichi, sarebbe bello se fosse possibile, ma ad un mese dalle gare, è già tanto aver mantenuto i carichi invariati, sperare di aumentarli è una chimera, a meno che il soggetto in questione non sia “grasso” per una gara, in quel caso sicuramente non ci saranno problemi.

Andiamo per gradi e proviamo ad analizzare le differenti fasi in cui ci si può trovare, vi dirò come io sono solito agire.

PRINCIPIANTI

Quando si tratta di principianti, bene o male la progressione è molto semplice da mettere in atto, soprattutto con chi è proprio all’inizio, in quel caso, anche senza impostare nulla, se ha un po’ di carattere e “spinge”, si verificherà un rapidissimo aumento nei carichi.
Quando invece si tratta di utenti, sempre considerabili principianti, ma sicuramente più navigati, iniziare ad utilizzare un semplice piramidale ponendo il vincolo di portare a cedimento solo l’ultima serie, cercando di superare col carico della volta precedente di almeno una ripetizione quelle target, per poi ripartire dalle stesse con un leggero aumento di carico, sortirà senza problemi l’effetto sperato, oppure anche un semplice ramping potrebbe portare al medesimo risultato.

Ovviamente non sono gli unici tipi di lavori presente, volendo si possono impostare anche delle progressioni come queste ad esempio:

Scegliamo di eseguire 6 serie da 3 ripetizioni utilizzando le seguenti percentuali calcolate sull’ 1 RM

settimana          1             2             3                4               5             6

panca piana     85%   –   70%   –   87.5%   –   72.5%   –   90%   –   75%

rematore          70%   –   85%   –   72.5%   –   87.5%   –   75%   –   90%

In questo caso avrò giorni di carico e giorni di scarico, questo per permettere un aumento graduale nel tempo, in quanto, i giorni di lavoro in buffer saranno un’ottima occasione per migliorare la tecnica e si dovrà appunto cercare di essere manicali in questo caso, proprio perché andando a migliorare la tecnica ci sarà anche un netto miglioramento dei carichi.
È importante ricordare che la forza è un’abilità e come tale va allenata.

Questi sono solo alcuni esempi per darvi un’idea della tipologia di lavori che si possono svolgere coi principianti per ricercare degli aumenti di carico.

INTERMEDI E AVANZATI

In caso di intermedi o avanzati, sono solito invece far utilizzare progressioni, sì piuttosto semplici da impostare, ma ben più complesse da gestire per chi le va ad eseguire, in quanto sfruttano gli RPE, ovvero una scala da 1 a 10 per l’autoregolazione basata sull’intensità percepita.
Il motivo per cui sono solito evitare di proporle anche ai principianti, è semplicemente perché autoregolarsi in maniera corretta è veramente complesso, capita spesso infatti di imbattersi in soggetti che convinti di aver protratto una serie fino al cedimento, in realtà hanno ancora una o più ripetizioni “in canna”, oppure l’opposto, ovvero soggetti che non riescono a fermarsi prima di arrivare ad un rpe10, nonostante magari sul protocollo fosse riportato un rpe 8 o 9.

Quando si tratta invece di intermedi o avanzati, questo problema difficilmente si presenta ed anzi, l’autoregolazione è sicuramente il modo migliore con cui lavorare, in quanto non sempre si è “in forma” e pieni di energie, così facendo, con l’ausilio degli RPE, risulta nettamente più semplice regolarsi in base al proprio stato fisico, piuttosto che lavorare con carichi già preimpostati.

Un esempio di progressione potrebbe essere il seguente:

Panca piana 5×5 primi tre set rpe8, quarto set rpe9, ultimo set rpe10 lavorando con un 7-8 RM

Cerca di aumentare di una a due ripetizioni a settimana a parità di carico ed una volta che superi le 5 ripetizioni nell’ultimo set, aumenta il carico del 2/4% e riparti.

Questo è un esempio di una progressione tanto semplice quanto funzionale, ovvio non si potrà progredire all’infinito, ma sicuramente si riuscirà ad aumentare il carico spostato inizialmente, perché funzionino è però fondamentale rispettare gli rpe, pena, cuocersi prima del dovuto.

Ovviamente qui vedete solo un esempio, nei programmi sono solito utilizzare più progressioni basate su range di ripetizioni differenti, alternandole durante la settimana.

CONCLUSIONE

La forza è un’abilità e come tale va allenata, in quanto padroneggiare carichi maggiori a parità di TUT permetterà di generare maggior tensione meccanica che si tradurrà in maggiori guadagni ipertrofici.
È però importante ricordarsi che pratichiamo bodybuilding e di conseguenza la forza deve rimanere un mezzo e non diventare il fine ultimo.

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RETTO ADDOMINALE: MIGLIORARE PRESTAZIONE ED ESTEICA

Muscoli addominali:
Dal più profondo al più esterno possiamo citare: trasverso dell’addome, obliqui interni, retti addominali ed obliqui esterni. Questi muscoli fanno parte della muscolatura esterna del core e hanno il compito di comprimere le viscere e stabilizzare i movimenti durante i movimenti di tutto il corpo.

Il famoso retto addominale è uno dei gruppi muscolare più amato, esteticamente parlando e talvolta più trascurato, anche in parte per colpa della tanto famosa frase: Gli addominali si fanno a tavola.
Beh, grazie, se hai uno strato di cotenna siberiana a scaldarli, sicuramente non saranno in bella vista, nonostante svolgano comunque le loro funzioni di sostegno insieme agli altri muscoli del core.

Talvolta purtroppo non è sufficiente, agonisticamente parlando, la dieta per sortire l’effetto desiderato a livello estetico e per quei pochi soggetti sfortunati, del cui gruppo faccio parte anche io, l’allenamento diventa più che fondamentale.

FUNZIONI

Il retto addominale svolge un ruolo molto importante negli allenamenti, se debole porterà ad avere prestazioni inferiori in allenamento, riducendo la resa delle vostre sedute in sala pesi.

Questo perché il retto addominale svolge, insieme ai restanti muscoli del core, un’importante funzione di sostegno come già detto ed in caso non fosse sufficientemente allenato, oltre quanto già scritto, aumenterebbe il rischio di infortuni.

Vediamo qualche esempio:

Prendiamo in considerazione una leg curl sdraiato, quante volte capita di vedere il busto inarcarsi durante la fase concentrica?
Spesso e ciò è dovuto ad un retto addominale debole che non permette di controllare l’anca opponendosi ai lombari.

Oppure un military press, in questo caso un retto addominale debole porterebbe a scaricare molta pressione sulla colonna vertebrale, esponendoci così ad un maggior rischio infortuni.

Già solamente leggere ciò dovrebbe apparire più che sufficiente a capire quanto è importante avere un retto addominale ben allenato, ma se non bastasse ve lo do io un altro motivo, che sono sicuro desterà l’interesse di molti narcisi.
Volete avere un addome esteticamente più piacevole?
Allenatelo, è vero che perché si veda è necessario non avere una bodyfat troppo elevata, ma è anche vero che una volta che risulta adeguata, l’allenamento fa una gran differenza.

ALLENAMENTO

L’allenamento del retto addominale dipende e varia in base alla finalità con cui viene svolto, se prestazionale o estetica, in entrambi i casi comunque gioverete di un transfert, anche se in maniera minima, sulla componente tralasciata, in quanto sempre di allenamento del retto addominale si parla, quindi il beneficio anche se parziale, ci sarà da ambo i lati.

ALLENAMENTO ATTO ALLA PERFORMANCE

Quando la finalità è la performance, esercizi come i classici crunch vanno lasciati in disparte, in quanto sì, stimolano il retto addominale, ma la resa, se ovviamente di performance si parla è piuttosto irrisoria, al contrario potranno sortire l’effetto desiderato, l’ausilio di un mix tra esercizi statici e dinamici, quali: plank, hollow position, crunch, e sit up, per poi passare gradualmente ad esercizi piu complessi come la dragon flag.

Questi esercizi permettono di rafforzare a dovere il retto addominale rendendolo sicuramente ben allenato e prestante, in modo tale da poter svolgere senza problemi i vostri esercizi in sala pesi, oltre ad aumentarne le prestazioni, basti pensare alla forza necessaria per eseguire i dragon flag, se si è in grado sicuramente in palestra gli ostacoli saranno pochi.
L’allenamento però non deve essere relegato ad un ruolo marginale, bensì avere lo stesso focus che si riserva agli altri gruppi muscolari.
Limitarsi a ¾ serie a fine allenamento sarà utile come un rotolo di carta igienica finita in bagno.
Quindi riservate il giusto spazio nelle vostre sedute a questo gruppo muscolare e verrete ripagati nel migliore dei modi.

ALLENAMENTO ATTO AD UN MIGLIORAMENTO ESTETICO

Se il nostro obiettivo è invece migliorare la resa estetica del nostro addome, senza dimenticare che se non dimagriamo anche andando a Lourdes non si vedrà mai nulla, l’allenamento cambia e gli esercizi che ci interessano sono uno, esagerando due, infatti qui entra in gioco il fantomatico dimagrimento localizzato!
No ragazzi, non sto scherzando e non voglio nemmeno che cerchiate il mio indirizzo per picchiarmi, il dimagrimento localizzato esiste, ma non come viene inteso normalmente, ovvero semplice riduzione di adipe nella zona X, bensì tramite una ricompartimentazione dei liquidi extracellulari.

Ebbene sì, in questo caso ciò che farà la differenza con l’allenamento, oltre comunque un leggero inspessimento della parete addominale, sarà proprio questo una compartimentazione dei liquidi extracellulari differente, ma ciò com’è possibile?

Come ho già accennato in altri articoli, compreso quello sui polpacci, è il lavoro basato sull’accumulo di volume di centinaia, migliaia di ripetizioni a portare a ciò.

Basti pensare ai lottatori di sumo che presentano delle striature sui glutei nonostante quella cotenna da porco iberico che si ritrovano addosso,

O anche i ginnasti che presentano qualità pressoché migliore di molti culturisti.

Il motivo è presto spiegato, con le loro tipologie di allenamento vi è un accumulo di lavoro esasperato nelle zone che vengono interessate da questo, che porta appunto a quanto detto sopra, sicuramente hanno influito anche i miliardi di lavori di tenute isometriche che eseguono entrambi, ma non grazie all’isometria in sé, bensì grazie al fatto che le tenute isometriche permetto di accumulare, due, tre, quattro, cinque volte tanto il lavoro che si può accumulare con dei lavori dinamici (questo perchè i cambi di tensione presenti nei vari punti del ROM portano ad avere un carico di lavoro inferiore rispetto ad una statica).

Quindi penso abbiate già compreso cosa sto per dirvi, prendete un esercizio, o se volete fare i fighi due ed iniziate ad accumulare lavoro, di giorno in giorno, alzando sempre di più l’asticella, perché sì, è vero che la parte fondamentale è l’accumulo di lavoro, ma ricordiamoci che è importante anche uno stimolo progressivo nel tempo.

Vi riporto la mia personale esperienza, come detto sopra, l’addome è il mio punto debole, quello in cui accumulo più adipe, infatti non sono mai riuscito a portarlo al tiraggio che volevo in gara, a parte in questa ultima stagione agonistica e ciò che ha fatto realmente la differenza è stato il lavoro svolto durante l’off season.

Feci questo lavoro anche sui polpacci, con volume inferiore visto che non erano così malaccio….

Partii da 200 crunch al giorno a corpo libero aumentando le ripetizioni giornaliere gradualmente ogni settimana e lo protrassi per 5 mesi, 5 mesi in cui raggiunsi il totale di 450 crunch al giorno, inutile dire che arrivato alla fine il numero di crunch che riuscivo a macinare senza fermarmi era impressionante.
Ma ciò che fu realmente impressionante era l’addome, pareva rivoluzionato, sempre orrendo, ma sembrava essere quello di un’altra persona.

CONCLUSIONI

Sia che vogliate fare i fighi al mare, che migliorare le vostre prestazioni in allenamento, prestate il giusto tempo all’allenamento del vostro retto addominale.
Sempre di un muscolo si tratta e come tale, se le vostre mire agonistiche sono elevate, va allenato col giusto focus.

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CHEATING, BISOGNA APPRENDERLO PER APPLICARLO.

In questo articolo non voglio propinarvi la solita minestrina riscaldata, in cui vi vado a dire che il cheating è utile per chiudere la serie a patto che il resto sia tecnicamente ottimale, bensì, voglio parlarvi del cheating in maniera differente, mostrandovelo per quello che davvero è, ovvero pura tecnica, senza relegarlo al semplice esaurimento muscolare a fine serie, ma andiamo per gradi…

COS’È E QUANDO SI USA SOLITAMENTE IL CHEATING?

Prima di parlarvene per come a mio avviso andrebbe visto il cheating oltre la classica visione dell’immaginario comune, volevo dare una breve spiegazione di cosa si tratta e quando normalmente viene utilizzato, per chi non lo conoscesse, quindi siete pure liberi di saltare questo paragrafo nel caso…

Il cheating è una tecnica allenante che prevede lo sfruttamento della forza di inerzia tramite movimenti compensatori, quali: slanci e flesso/estensioni delle articolazioni, per ridurre la tensione che il carico va a generare.
Questo è possibile grazie al passaggio da un lavoro muscolo centrico, (con focus primario sulla contrazione muscolare) ad un lavoro carico centrico, (focus primario sullo spostare il carico da punto X a punto Y senza curarsi della contrazione muscolare), per farvi un esempio, avete presente quando vedete gli utenti in sala pesi che mentre eseguono il curl col bilanciare, oscillano avanti e indietro come dei furetti in preda ad una crisi epilettica?
Ecco, quello è considerabile cheating…

La parola cheating infatti, deriva dal termine inglese cheat, letteralmente barare/imbrogliare, visto che oggettivamente mentre lo eseguiamo andiamo a barare sporcando la tecnica per spostare più kg o eseguire più ripetizioni.

Il cheating però va applicato con cognizione di causa e parsimonia, in quanto, un uso intelligente di questa tecnica, prevede che venga sfruttata solo in contesti idonei.

Considerando che nel bodybuilding l’allenamento è sempre muscolo centrico e mai carico centrico, viene da sé, come applicarlo su tutte le ripetizioni e tutte le serie porterebbe, oltre ad un gran sovraccarico a livello strutturale inutile, anche ad un lavoro irrisorio muscolarmente parlando, in quanto appunto il lavoro non sarebbe più focalizzato sul muscolo target della serie, bensì, disperso su molti altri gruppi muscolari, quindi, prendendo sempre come esempio il curl con bilanciere, se utilizzassimo 40kg, trattandosi di una serie con solo cheating ci ritroveremmo ad avere un lavoro irrisorio sui bicipiti, che risulterebbe invece nettamente superiore se eseguissimo la medesima serie con 10kg in meno ed una tecnica corretta.

Il cheating ha senso se utilizzato e mi raccomando, non sempre, per riuscire a strappare una o due ripetizioni in più al termine di una serie, una volta raggiunto il cedimento tecnico, a patto che questa sia eseguita con una tecnica corretta.

Mi raccomando però, è una tecnica assolutamente da evitare coi novizi, in quanto è prima necessario apprendere e consolidare la tecnica di base dei vari esercizi, altrimenti, ciò porterà ad errori grossolani, che consolidandosi nel tempo sarà dura correggere.

ORA VI PARLO DI COSA INTENDO IO PER CHEATING

Bene ragazzi, adesso che abbiamo fatto il solito appunto generale, trito e ritrito sul cheating, che per carità, non è scorretto, ma sempre della solita minestra si tratta, volevo portarvi qualcosa in più derivante dalla mia esperienza in sala pesi in questi due anni di collaborazione con Marcello Del Fitto, mio attuale coach insieme a Davide Pisati, Dave the chemist per chi lo conosce solo tramite instagram.

Facciamo una piccola premessa inerente al “diagramma di forza” che ogni esercizio, in maniera differente, presenta.
Questo serve a mostrare la tensione durante tutto l’arco di movimento in cui muscolo lavora attivamente e non è mai uniforme aimè, avremo sempre punti in cui la tensione è maggiore ed altri in cui è minore.

Infatti, anche se in maniera nettamente inferiore, qualsivoglia esercizio decidiamo di eseguire, la tensione darà l’idea di quella generata dalle contrazioni auxtoniche, che solitamente vengono attribuite agli elastici.
Questo perché, se proviamo ad eseguire un’alzata laterale o un curl con bilanciere, con un elastico, avremo un cambio di tensione durante l’arco di movimento che andremo ad eseguire davvero repentino, quasi come passare da 0 a 1000 in pochi cm.
Tutto ciò avviene anche con i normali esercizi con sovraccarichi, infatti è errato attribuire il titolo di contrazioni auxotoniche solo a lavori con elastici a mio avviso, ma questo è un argomento a parte e non voglio dilungarmi oltre, però penso abbia reso l’idea…

Fateci caso, in tutti gli esercizi abbiamo delle porzioni di ROM in percepiamo una tensione maggior, per esempio in un curl con bilanciere, o in un hack squat la maggior tensione la si può percepire all’inizio della fase concentrica, mentre in un rematore con manubrio, o in un’alzata laterale, la porzione più ostica del movimento da svolgere sarà la porzione finale della fase concentrica.

In alcuni esercizi questa differenza nelle varie porzioni di ROM è maggiore rispetto ad altri, se ci facciamo caso, in buona parte delle tirate per il dorso questa differenza è veramente elevata e anzi, sono proprio quelle in cui ciò avviene più di frequente.
Prendiamo come esempio un classico rematore con manubrio, o un pendlay row, la parte finale della fase concentrica risulta veramente ostica se paragonata alle prime porzioni di ROM in cui, a parità di carico, sembra quasi di irrisoria.

È proprio qui che volevo arrivare, in questi esercizi in cui vi è una variazione piuttosto repentina di tensione, quali buona parte delle tirate per il dorso e pochi altri come le alzate laterali, il cheating potrebbe e anzi, dovrebbe, prendere parte all’intera serie, diventando per l’appunto parte integrante di quella che viene considerata tecnica di esecuzione corretta.

Vi starete chiedendo il “perché?” immagino visto quanto scritto nel paragrafo precedente, beh, perché in questo caso il cheating non sarebbe più mero utilizzo della forza di inerzia per rubare qualche ripetizione extra, bensì, permetterebbe di rendere nettamente più uniforme il diagramma di forza, pensiamoci….

Sto eseguendo un rematore con manubrio, uno, due, tre, nove, alla decima ripetizione non riesco quasi più a completare la fase eccentrica e decido di terminare la serie, se invece provassi a proseguire cosa succederebbe?
Se proseguissi riuscirei a compiere, con nemmeno troppa fatica tra l’altro, svariate ripetizioni parziali appunto con la parte iniziale del ROM, che è appunto, anche quella meno ostica.
Così facendo, se terminassi la serie, mi ritroverei con parte delle fibre esaurite (quelle che intervengono nella fase finale della tirata) e parte ancora fresche, quasi deallenate (quelle intervengono nella porzione iniziale).
Inserendo il cheating ad ogni ripetizione in chiusura invece, andrei a ridurre la tensione nel punto in cui questa raggiunge il suo picco, andando così a rendere più uniforme il diagramma di forza e quindi la tensione nei vari punti del ROM.
In questo modo otterrei svariati benefici, riuscire a dare pressoché il medesimo lavoro a tutte le fibre che intervengono, in questo caso nel rematore e mi eviterei di dover aggiungere altre serie e/o esercizi per farlo, cosa non da poco considerando che il bodybuilding è economizzare, ottenere il massimo col minimo e ciò oltretutto mi permetterebbe di utilizzare un carico più elevato, anche questa cosa da non sottovalutare

ATTENZIONE però, prima di andarlo ad utilizzare è importante saperlo padroneggiare, il cheating è una tecnica ed in quanto tale va appresa e soprattutto è necessario capire in che esercizi trova la sua utilità ed in quale invece perde di senso.

Prendendo sempre il rematore con manubrio come esempio, è fondamentale che il cheating venga applicato solo in chiusura applicando una leggerissima flessione di ginocchia e/o busto, senza cambiare però l’inclinazione di quest’ultimo, pena, cambiare anche il prime mover dell’esercizio e di conseguenza, spostare il focus dal gran drosale.
Lo stesso ad esempio nel pendlay row, elevando troppo il busto e prima del dovuto, il focus si sposterebbe dal gran dorsale ad erettori spinali, trapezi ed elevatori della scapola, rendendo inutile l’esercizio per la finalità con cui era stato inserito nella routine di allenamento.

Ripeto però, non è applicabile a tutti gli esercizi, prendiamo come esempio una lat machine ove gli arti inferiori del tronco sono vincolati, applicare il cheating in questo esercizio non è utile, al contrario, sposterebbe il prime mover cambiando anche i fasci del dorso coinvolti, in quanto un suo utilizzo porterebbe ad una estensione dell’anca, con conseguente variazione della traiettoria del carico, che da verticale passerebbe ad obliqua, trasformando l’esercizio da un’adduzione dell’omero ad una sua estensione, perdendo così il focus primario della tirata.

Movimento corretto, busto che si inarca senza presentare variazione nell’ampiezza dei gradi dell’angolo che lo separano dalla coscia (circa 90 gradi), con conseguente adduzione dell’omero.

Movimento errato, anca che si estende al posto di mantenere invariati i gradi dell’angolo formato tra busto e coscia, che dovrebbe stare in mobile e semplicemente presentare un’accentuazione dell’arco lombare, con conseguente estensione dell’omero.

È importante che vengano rispettate alcune regole per capire se è possibile applicarlo o meno sull’esercizio X:

-Non deve cambiare il prime mover dell’esercizio.

-Non deve esserci variazione nella traiettoria che dovrebbe compiere il carico.

CONCLUSIONI

Questa è la mia visione in merito al cheating, qualcosa di differente, o meglio, più vasto del semplice immaginario comune, qualcosa che ne eleva drasticamente l’importanza trasformandolo in vera e propria tecnica esecutiva.
Utilizzarlo in questo modo vi permetterà di avere un upgrade nei vostri allenamenti, andando ad ottimizzare le varie serie, ricordatevi però le regole sopracitate per applicarlo, altrimenti potrebbe sortire un effetto opposto, o indesiderato.

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POST GARA, COME COMPORTARSI PER VIVERLO AL MEGLIO.

La fase del post gara è quel momento in cui cala il sipario, la stagione agonistica termina ed in un attimo, finito di contemplare quegli magici momenti passati sul palco ed essersi goduti un paio di giorni di relax, la nostra testa di colpo si ferma per iniziare a pensare, “ora cosa faccio?”.

Andiamo, non fate gli eroi con una volontà di ferro che subito tornano a regime senza mettere un piede fuori dai binari e dite la verità, il senso di dubbio e inquietudine assale bene o male chiunque e soprattutto chi si trova alle prime esperienze.
Quel dubbio che ti frulla in testa su come comportarti, cosa e quanto mangiare, se allenarti o riposare…

Bravo, vedo che ti stai facendo un esame di coscienza ed è capitato anche a te di sentirti “perso”, ma è tutto normale, bene o male ci si può ritrovare in uno dei seguenti scenari:

-C’è chi terminata la gara comincia a fagocitare qualsivoglia cosa di commestibile sulla faccia della terra senza un freno.

-C’è chi si prende qualche giorno di relax per poi tornare al solito regime alimentare che sente come suo.

-C’è chi spaventato dalla mancanza di regole riprende a mangiare esattamente come prima della gara pensando così di essere nella sua zona sicura.

-C’è chi finisce nel brutto circolo vizioso del “dieta-abbuffata-domani mi rimetto”, vivendo male perché inizia a sentirsi sbagliato ed in difetto.

Logicamente ad un esterno che non ha mai vissuto questo tipo di esperienze verrebbe da pensare che basterebbe godersi qualche giorno di stacco per poi tornare in carreggiata, per carità, anche il buon senso dice ciò, però non tutti riescono a comportarsi in questo modo e ci si ritrova, in un momento in cui a livello psicologico si tende ad essere molto fragili.

Facciamo un passo indietro per capire meglio, fino a tornare alla fase pre contest…
Nei mesi che precedono le competizioni si vive seguendo schemi molto rigidi e si cerca a nostra volta di essere il più rigidi possibile nella speranza di salire sul palco ed essere il/la migliore.
Allenamenti in cui ci si estrania nel proprio mondo che diventano via via più pesanti col passare del tempo, ma che si cerca comunque di svolgere al massimo delle proprie possibilità, mentre ci si sente dilaniati dalla stanchezza, fisica e mentale, la dieta in cui ci si va a privare di moltissimi alimenti riducendo le fonti ad un numero conteggiabile sulle dita di una mano.

Ecco, pensate a questo e capirete come mai ci si possa sentire così in un post gara, io stesso che in pre gara assumevo letteralmente solo 5 alimenti e avevo addirittura tolto l’avena perché i grassi derivanti da essa non sono ottimali in preparazione, finita questa stagione di gare e nella piena consapevolezza che non sarebbe stata ciò a farmi peggiore fisicamente, avevo quasi “paura” a reintrodurla.

Io cerco sempre di facilitare il compito ai miei ragazzi e di riportarli a vivere serenamente il proprio percorso rimettendosi pian piano, perché sì, purtroppo ci si ritrova talvolta a raccogliere dei ragazzi a pezzi.
Un preparatore in questi casi infatti, come io sono solito fare, dovrebbe aiutarli a tornare in carreggiata passa per passo, indirizzandoli sulla giusta via, il giusto equilibrio col cibo facendogli capire che non sono in difetto come pensano di essere, che è normale sentirsi così dopo una gara, che è normale aver voglia di qualcosa di diverso, che è normale non riuscire ad essere subito dei soldati a livello alimentare, che è normale aver voglia di staccare qualche giorno dagli allenamenti.

Il mio intervento, in linea di massima consiste nel consigliare di staccare la spina per alcuni giorni, anche una settimana se necessario ed in alcuni casi addirittura di più (ciò è condizione dipendente, più è stata estremizzata e più riposo servirà) ed in questi giorni riposo assoluto, niente dieta, conteggio dei macros e allenamento.
Lo scopo è quello di resettare totalmente l’atleta e riportarlo ad un nuovo punto di partenza in una condizione fisica e mentale tale per cui possa davvero riprendere a fare ciò che tanto ama, perché tutto quel che ho detto sopra è normale, umano…

L’atleta, una volta ricaricate le batterie tornerà a vivere il bodybuilding che tanto ama, però chiunque, me compreso, come già detto sopra, risentirà ancora delle restrizioni alimentari avute fino ad ora, o della necessità di fare tot sedute di cardio a settimana, arrivati a questo punto il mio scopo e quello che dovete fare voi, è cercare di autoimporsi di uscire da questi schemi, non stiamo più preparando una gara, è quindi finita la guerra, non sarà qualche seduta di cardio in meno a farvi peggiorare, come non lo sarà qualche alimento considerato meno ideale per la dieta a portare a questo.

Questo è ciò che ho fatto con Edoardo Stramazzo, un atleta che preparo, nonché amico, che ha gareggiato come classic physique in nbfi, dopo la gara voleva tornare subito a dieta, cadendo nel classico circolo vizioso dieta-sgarro-ripeto.
Mi sono posto nei suoi confronti consigliandogli di ascoltarsi e non farsi problemi se avesse voglia di mangiare di più e di ritornare a regime in modo graduale partendo subito da calorie decisamente più alte ed evitando reverse diet, che possono solo facilitare l’instaurarsi di questi circoli viziosi, in quanto la reverse è semplicemente un reiterare più a lungo la condizione di ipocalorica.

PER QUANTO RIGUARDA L’ALLENAMENTO INVECE?

La gestione dell’allenamento nel post gara è sempre condizione dipendente, come detto prima, più è stata estremizzata, più riposo servirà e più dovranno essere blande le sedute in sala pesi una volta ripresi.

Fatta questa premessa e facendo finta di aver fatto riposare il ragazzo abbastanza, sono solito impostare delle split con volume e frequenza relativamente basse, utilizzando sedute piuttosto semplici, sviluppate prettamente con serie con TUT FLUIDI e range di ripetizioni medie, solitamente oscillo tra le 8 e le 15 con esercizi poco impattanti sul sistema nervoso centrale in questa fase.
Questo, appunto per permettere di riassaggiare pian piano la ghisa, evitando di creare troppo impatto a livello del SNC, di riprendere i carichi, riabituarsi agli schemi motori che in futuro utilizzeremo maggiormente e soprattutto riportare dentro di loro quella voglia di sbranare i pesi in palestra.

In questa fase infatti, il fine primario non deve essere la performance o la condizione, bensì riportare l’atleta in uno stato ideale per poter rendere proficui gli allenamenti futuri, detto proprio in modo ironico, stiamo facendo riabilitazione.

CONCLUSIONI

Il post gara è un momento delicato, in cui talvolta lo sconforto può assalirci, bisogna cercare di esorcizzare queste paure, accettare e accogliere i bisogni del nostro organismo e capire che è tutto normale, una fase transitoria che però è obbligatoria per poi ritornare a prepararsi in vista delle competizioni future.
Per di più, cerchiamo di non vedere solo il lato negativo quando ci troviamo in questa situazione, ma bensì, coglierla al volo per goderci qualche sfizio culinario e gli affetti dei nostri cari, anche perché questa possibilità l’avremo nuovamente solo dopo la prossima gara.

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COME RENDERE EFFIACE UN ALLENAMENTO

La gestione dell’allenamento per un culturista è molto più delicata e complessa di quanto appaia, questo per le molteplici possibilità che vi si parano di fronte durante la stesura di un programma, dal semplice periodizzare a programma gli stimoli come intensità, volume e densità, alla scelta degli esercizi in funzione delle caratteristiche strutturali, carenze e della fase in cui ci si trova.
Quindi andrà studiato e tenuto tutto sotto controllo, cercando di essere il più meticolosi possibile.

COME DARE UNO STIMOLO ADEGUATO

Talvolta, quando si redige un programma, si tende ad allontanarsi troppo da quello che è il fine ultimo dell’atleta.
Bisogna sempre ricordarsi che nel bodybuilding il fine è l’estetica, quindi il miglioramento della composizione corporea (rapporto massa magra/massa grassa), per cui l’allenamento andrà tarato basandosi su questo
Talvolta, soprattutto da quando ne è stata dimostrata l’efficacia, la componente di lavoro con stimolo meccanico/neurale, tende a diventare preponderante, che per carità, il miglioramento della performance porta a generare ipertrofia, ma siamo culturisti e sicuramente l’allenamento più efficace nel nostro caso non è una seduta basata su doppie e triple con soli multiarticolari.
Noi dobbiamo ricercare una specificità nello stimolo e ciò consiste in quelle caratteristiche biomeccaniche e/o metaboliche che lo stimolo deve avere per portare al risultato desiderato.
La specificità dello stimolo nel bodybuilding è tutto ed è proprio per questo che ho riportato quanto scritto sopra, dato che, per quanto un lavoro possa essere ottimo a livello ludico, talvolta si discosta molto da ciò che serve per raggiungere il fine desiderato.
Quindi è necessario focalizzare i fattori che portano all’ipertrofia e lavorare su quelli per raggiungere gli obiettivi prefissati.

FATTORI CHE GENERANO IPERTROFIA

Da quanto scritto sopra risulta chiaro che è fondamentale comprendere quali siano i fattori che generano ipertrofia e capire come funzionino per poterli sfruttare per il proprio fine:

-Progressione che comprende a sua volta: Intensità, volume, densità.

-Stress metabolico.

-Periodizzazione.

Progressione

Nel bodybuilding è ormai nota l’importanza di uno stimolo progressivo, dato che questo permette al corpo di ricercare un adattamento, in questo caso con l’allenamento con sovraccarichi, che vada poi a generare ipertrofia una volta che questo avviene.
Tutto ciò grazie alla famosa general adaptation syndrome detta anche GAS, ciò ci spiega come il corpo si adatti agli stimoli esterni.
La GAS ci fa capire come, sempre rimanendo in ambito bodybuilding, il nostro corpo riesca a genare ipertrofia grazie a degli adattamenti che metti in atto dopo aver subito uno stress.

Questa, si compone di 3 fasi:

-Allarme: il nostro organismo capta lo stimolo e cerca di farvi fronte nel migliore dei modi.

-Adattamento: se lo stress non è troppo forte il nostro organismo si adatta allo stimolo che ha ricevuto.

-Esaurimento: una volta superata la fase di stress il nostro organismo riposa per recuperare tutte le energie ed è proprio qui che grazie all’allenamento con sovraccarichi viene generata ipertrofia.

Proprio per questo motivo ho racchiuso nel sottoinsieme della progressione: intensità, volume e densità.
Questi sono i tre parametri che nel tempo e non per forza simultaneamente, devono avere una progressione.

Intensità: si intende il carico sollevato

Volume: si intende il numero di serie e ripetizioni

Densità: si intende la mole di lavoro in un lasso di tempo X, se ad esempio in X minuti vado ad eseguire 100 ripetizioni, tramite l’ausilio di tecniche di intensità come stripping, superset, jump set, posso aumentare la densità di lavoro, quindi aver maggior volume di lavoro in un lasso di tempo minore o uguale, ad esempio inserendo un jump set in quel X minuti arriverei magari a fare 140 reps.

Stress metabolico

Per stress metabolico si intende l’accumulo di fosfati, ioni idrogeno, acido lattico e metaboliti che si verifica durante l’esercizio fisico intenso.
Quindi serie con TUT più o meno lunghi e recuperi brevi o incompleti, tutte quelle serie piuttosto ostiche e dolorose.

Periodizzazione

Per periodizzazione si intende l’alternarsi di stimoli nuovi e differenti, ciò ricorda molto il meccanismo di progressione, stimolo nuovo che grazie alla GAS porta ipertrofia.
Attenzione però, dare un nuovo stimolo non significare per forza cambiare esercizio, anche un semplice cambio di TUT fornisce uno stimolo differente.
È importante che vi siano stimoli differenti ed inseriti con grano salis nell’arco della preparazione, altrimenti, in assenza di questi, si arriverebbe presto ad una fase di stallo.

STIMOLO COMPLETO

Quindi è fondamentale che venga dato uno stimolo differente nel tempo ma pur sempre completo.
Quando andiamo a redigere un protocollo, per quanto un 4×8 possa essere più che valido se ben eseguito, risulta facile capire, soprattutto dopo quanto scritto sopra, che non è sufficiente.
è necessario siano presenti range di ripetizioni differenti, in modo tale da dare uno stimolo a 360 gradi, la metodologia hatfield è un esempio perfetto per questo paragrafo (leggi l’articolo sul blog cliccando qui)….

Il suo autore fu uno dei primi ad applicare una base scientifica al bodybuilding, andando a proporre qualcosa di differente dalle classiche teorie senza fondamenta solide.
Proponeva di utilizzare range di ripetizioni differenti per poter stimolare l’ipertrofia miofibrillare, quella sarcoplasmatica e poi concludere con lavori di capillarizzazione e infatti…
Consigliava di utilizzare tre esercizi a gruppo muscolare, il primo in un range di ripetizioni basso, tra le 3 e le 6, apposta per stimolare la miofibrilla, il secondo tra le 10 e le 15, proprio per il sarcoplasma ed il terzo tra le 20 e le 30 per il lavoro di capillarizzazione.
Effettivamente, così facendo si arriva ad avere uno stimolo completo che generi una crescita sicuramente maggiore di quanto potrebbe fare qualsiasi approccio lasciato al caso.

FORZA ED IPERTROFIA

Dopo quanto appena letto risulterà logico mantenere una componente di forza nella propria programmazione.
La tensione meccanica permette di generare ipertrofia, ma non bisogna scordarsi che il bodybuilding non ha come fine ultimo il sollevamento pesi, quindi sì, serve, ma non deve diventare il focus primario, o meglio, non per un atleta avanzato.
Se si tratta di neofiti in realtà, lavorare sulla forza utilizzando pochi schemi motori è la scelta migliore, lavori di fino con esercizi monoarticolari lasciano un po’ il tempo che trovano in questo caso vista la mancanza di una forza che permetta di spostare carichi perlomeno decenti e la quasi sicuro mancanza di intensità espressa.
Mentre per un intermedio/avanzato, sarà sì una componente da non tralasciare, ma dovranno avere molta più importanza esercizi mono o bi articolari.

OTTIMIZZARE IL PROGRAMMA

Ora che abbiamo le fondamenta per redigere un programma efficace mancano le decorazioni, così da ottimizzare tutto, andrà cucito il protocollo per filo e per segno sul soggetto.
Bisognerà:

-tener conto della conformazione fisica per selezionare la tipologia di esercizi più adatta ed efficace per lui

-considerare il lato ludico non relegandolo a fare solo ciò che serve, ma se possibile assecondare qualche suo desiderio, dato che, un allenamento divertente sarà sicuramente un allenamento più proficuo rispetto ad uno che ci fa venire il vomito

-la scelta di un range di ripetizioni ideale.
Ricordiamoci sempre che siamo culturisti ed il nostro fine è quello di ricercare la miglior composizione corporea possibile, quindi non dobbiamo andare a lavorare solo o principalmente con singole, doppie, triple, ecc come non dobbiamo nemmeno fare maratone in sala pesi.

PERIODIZZARE LE FASE

L’ultimo paragrafo è anche la chiave di volta, ovvero, periodizzare e alternare in maniera logica e studiata le varie fasi della programmazione.
Ovviamente ciò deve avvenire quando lo stimolo non fornisce più risultato.
Anche il momento della preparazione in cui ci si trova influisce, sicuramente in un contesto di ipocalorica si andranno a tralasciare o comunque ridurre multiarticolari in favore di macchinari, o sostituiti in parte da mono o bi articolari con range reps più elevati
Questo per evitare di incorrere in infortuni e rendere sicuramente più produttiva la seduta, mentre in una fase di bulk sarà l’opposto.

CONCLUSIONI

Ora abbiamo le chiavi per poter programmare al meglio e sapere come muoverci per porri le basi per una solida programmazione, ricordandosi che è il fattore soggettività dell’atleta a fare da padrone in questo.

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BUFFER E CEDIMENTO, COME E QUANDO UTILIZZARLI

Cedimento muscolare e buffer sono due componenti dell’allenamento molto importanti, che vedono spesso scontrarsi i sostenitori del “bro, spacco tutto, tira ogni fucking set”, con quelli del “no no, basta, sei andato oltre, non esagerare”.
Finito di sdrammatizzare….
Sono due fattori che si rivelano veramente utili se utilizzati con cognizione di causa e la presenza di uno non pregiudica la presenza dell’altro, al contrario, ma possono diventare un impedimento se inseriti senza una logica, andando dal rendere de allenante una seduta al renderla “troppo”.
Ma quale di questi è quello che risulta realmente utile?
Partiamo col capire meglio il concetto di buffer e cedimento per i meno avvezzi all’argomento, così da rendere tutto più chiaro:

-Buffer: stimolazione muscolare con riserva e senza esaurimento, ovvero, una serie non portata all’incapacità, quindi un set in cui ci fermeremo prima di arrivare al nostro reale limite fisico.

-Cedimento: serie protratta all’incapacità, ovvero, una serie in cui andremo avanti fino a che non ci sarà possibile eseguire altre ripetizioni.
Torneremo dopo sul cedimento, poiché, viste le molteplici tipologie di cedimento presenti, la risposta potrebbe essere in parte fuorviante, o considerata errata dei tecnici del settore, ma dovendo solo rendere l’idea di cosa sia, penso possa essere una definizione più che adeguata.

Dopo aver letto queste due definizioni qualcuno starà già storcendo il naso e pensando: “ma a cosa serve una serie se mi fermo prima del limite?”
Serve, anche perché, chi si starà ponendo questa domanda, forse non sa cosa significhi portare realmente a cedimento ogni serie, dato che, salvo con l’ausilio di volumi di allenamento bassi è pressoché impossibile protrarre ogni serie a cedimento, l’SNC (sistema nervoso centrale) ha un limite e dopo quel limite inizierà a farti percepire tutto molto più “duro/pesante” di quanto sia realmente, o, lo diventerà col tempo a forza di accumulare “stress su stress” di allenamento in allenamento, ritrovandosi poi cotti a puntino.

Vediamo di capire meglio come funziona il cedimento per far chiarezza.

CEDIMENTO

Prima di tutto vorrei dare delucidazioni riguardo l’affermazione riportata sopra, nella “definizione” di cedimento, andando ad elencarne tutte le tipologie presenti:

-CEDIMENTO TECNICO: Per cedimento tecnico si intende un set in cui l’ultima ripetizione risulta piuttosto ostica e rallentata rispetto alle altre, senza che però vi sia una perdita della forma e quindi risulti perfettamente sovrapponibile alla prima.

-CEDIMENTO CONCENTRICO: La serie in questo caso termina una volta raggiunta l’incapacità contrattile, ovvero: spingo fino a farmi uscire le emorroidi ma il peso non si sposta nemmeno se pago un trans per sodomizzarlo.

-CEDIMENTO STATICO: La serie termina una volta che, non solo non si riesce più a completare la fase eccentrica, bensì, quando anche cercando di mantenere una posizione statica non sono in grado di rimanere in quel punto del ROM.

-CEDIMENTO ECCENTRICO O MUSCOLARE: Questa è la forma di cedimento più elevata che ci sia, in questo caso la serie termina una volta che, non sono più in grado di portare a termine la fase concentrica del movimento ed anche provando a fermare il carico in un punto X questo continua a scendere e non sono minimamente in grado di oppormi a ciò.
Si tratta di un grado di cedimento veramente elevato da raggiungere e richiede un grande bagaglio di esperienza, oltre che due coglioni grossi come una casa.

Ecco, queste sono le quattro tipologie di cedimento presenti, tutte richiedono un enorme sforzo a livello neurale e vien da sé che applicarle su ogni set è impensabile, anzi, su alcuni esercizi non può, o meglio, non dovrebbero mai essere utilizzati!
Prendiamo ad esempio uno squat, prima di tutto, quanti sono in grado di portare a reale cedimento, anche solo concentrico, uno squat?
Pochi, quanti sono in grado di farlo senza sporcare la tecnica?
Forse due persone al mondo?
Ecco, questo, ma anche soltanto l’idea di portare tutte le serie di uno squat a cedimento fa capire quanto irreale possa risultare ciò su esercizi multiarticolari che presentano schemi motori così complessi.
Aggiungiamoci anche il fatto che il rischio di infortunarsi su esercizi come questi è elevato, vien da sé che l’ausilio del buffer in una situazione del genere sarebbe una scelta sicuramente migliore.
Soprattutto considerando che, l’atleta che ottiene più risultati è quello che non si infortuna, un uccello con un’ala spezzata ha poco da fare…

Quindi dobbiamo allenarci a buffer?
No, o meglio, non solo!

Allora cosa facciamo?
Vediamo ora come funziona il buffer e come ci si regola, così da avere un quadro più completo e poter tornare poi a disquisire su cosa e quando sia meglio.

BUFFER

Come già detto sopra, eseguire delle serie a buffer consiste nell’utilizzare un range di ripetizioni con un determinato carico che permetta di concludere la serie prima di raggiungere il cedimento.
Esistono varie tipologie di gestione del buffer, le più utilizzate nel bodybuilding sono quelle ad autoregolazione che arrivano dal mondo della pesistica, sempre presenti ma meno utilizzate nel nostro campo, anche quelle con lavori a percentuale.
Le più classiche che sfruttano l’autoregolazione sono la scala RPE o la scala RIR, entrambe molto simili tra loro, con una piccolissima differenza:

-RPE: scala di percezione dello sforzo che va da 1 a 10, in cui 10 corrisponde al cedimento, quindi al massimo sforzo e via via che si scende coi numeri ci si allontana sempre di più da questo.
È basata come scritto sull’autoregolazione, quindi l’atleta dovrà essere in grado di autogestirsi in maniera intelligente.
Si presuppone che venga utilizzata però su atleti con un ampio bagaglio di allenamento alle spalle, in quanto, un soggetto meno esperto tenderebbe a sopravvalutarsi o in caso contrario sottovalutarsi, cosa che comprometterebbe totalmente il senso del loro utilizzo.
Trattandosi però di una scala di percezione dello sforzo, non si potrà mai essere precisissimi e potrà portare a risultati differenti di volta in volta, magari capita il giorno in cui si è più stanchi e le ripetizioni a parità di RPE scenderanno o viceversa.

-RIR: scala basata sempre sulla percezione dello sforzo, che però va a stabilire quante ripetizioni di buffer lasciare, ad esempio RIR 1, implica che la serie termini con energia a sufficienza a chiudere ancora una ripetizione.
Questa non si discosta troppo dalla scala RPE ed i discorsi fatti sopra risultano quasi analoghi.

Queste sono le metodiche più utilizzate per la gestione del buffer, personalmente preferisco l’utilizzo della scala RPE per gestire il grado di intensità da esprimere.
Il buffer torna utile perché permette di allenarsi in sicurezza ed accumulare maggior lavoro causando minor stress a livello strutturale e mantenere una miglior tecnica, infatti è quasi un must in esercizi come lo squat in cui l’infortunio è dietro l’angolo.
Facciamo un esempio, vado ad eseguire una serie da 10 ripetizioni sulla chest press, raggiungo il cedimento e proseguo con delle forzate grazie agli spotter, dopo di che termino il set, ipotizziamo siano uscite 11/12 ripetizioni, la serie successiva sarà già tanto se ne andrò a concludere 5/6 e quella dopo 4/5.
Così avrò totalizzato 20 ripetizioni all’incirca, mentre, se avessi eseguito la prima serie da 9 ripetizioni, sarei probabilmente riuscito a chiudere anche le altre in quel reps range e avrei totalizzato 27 ripetizioni.
Quindi, maggior lavoro e minor stress a livello strutturale e sistemico, ottimo no?

Allora mi alleno sempre in buffer ed ho risolto ogni problema?

NO!

Anche questa non è la soluzione, anzi…
Vero che un lavoro del genere permette di accumulare maggior lavoro in sicurezza e che comunque le serie forniscono uno stimolo allenante, ma purtroppo è necessaria anche l’alta intensità, quindi serve anche raggiungere il cedimento muscolare.
Perché è vero che anche lavorando a buffer puoi reclutare tutte le fibre, ma sfinirle è un altro discorso.

CEDIMENTO E BUFFER DEVONO COESISTERE

Non è possibile lavorare solo a cedimento se non voglio farmi male, o stallare, o addirittura andare in over reaching dopo poco, come non mi è possibile lavorare solo a buffer ricercando miglioramenti costanti.
Cedimento e buffer sono due facce di una stessa medaglia che devono alternarsi ed aiutarsi nel raggiungimento dei vostri obiettivi.
Il buffer permette di accumulare lavoro in sicurezza fornendo comunque uno stimolo allenante, perché, che dir si voglia, arrivare in prossimità del cedimento muscolare rende una serie, anche se a buffer, comunque ostica.
Infatti, torniamo alla scala RPE, una serie di squat in RPE9 è percepita quasi come una serie protratta al cedimento, quando arrivi in un esercizio come questo a quelle ripetizioni che iniziano ad essere lente e ostiche sembrerà di essere arrivato al limite, anche se non è realmente così, altro motivo per cui è altamente sconsigliato applicare il cedimento su un esercizio come questo, se quelle risultano così ostiche figuriamoci se portate a reale cedimento.
Il cedimento invece è un’ottima arma per aumentare l’intensità riducendo anche il volume di una seduta e permette di sfinire tutte le fibre muscolari interessati, infatti, molto spesso i primi sets di un esercizio sono eseguiti in buffer e sono preparatori all’ultimo che è il vero e proprio set allenante.
Ovviamente quelli prima non servono solo a questo, ma bensì, generano un accumulo di lavoro non indifferente e che porta ipertrofia, permettendoci però di avere la massima resa nell’ultimo set.

Sono due fattori che vanno regolati anche il base al volume utilizzato, oltre che agli esercizi, in quanto, un allenamento a basso volume presenterà sicuramente un grado di intensità più elevato essendo minore lo stress che arreca a livello sistemico, al contrario, un programma ad alto volume presenterà molte più serie a buffer, in quanto, troppi sets portati a cedimento porterebbe a quello che viene chiamato “junk volume”, il cosiddetto volume spazzatura, quel volume che fai perché lo trovi scritto in scheda ma che di per sé risulta quasi inutile, in quanto, per la stanchezza accumulata, l’intensità espressa è sempre inferiore a quella richiesta.

QUANDO IL BUFFER E QUANDO IL CEDIMENTO SONO CONTROPRODUCENTI?

Bisogna sempre tenere in considerazione il soggetto che abbiamo di fronte quando decidiamo di utilizzare serie a cedimento o a buffer, perché la modalità con cui si approccia al carico potrebbe rendere, non solo inefficace, ma anche controproducente l’utilizzo dell’una o dell’altra metodologia.
Prendiamo per esempio un neofita o l’utente medio in sala pesi che termina la serie con un margine ampissimo prima di aver raggiunto un grado di fatica considerabile almeno allenante.
Applicare su un soggetto del genere delle serie a buffer, considerando che per codardia o pigrizia, questo eseguirà già le serie in buffer, porterà a dei sets non solo non allenanti, ma proprio deallenanti!

Esempio: Entra in sala pesi un ragazzo che già fin dall’inizio della seduta risulta svogliato e sembra faticare anche nel riscaldamento, verrà da sé che terminerà ogni serie appena percepisce del bruciore rimanendo però fresco come una rosa.
Ecco, se andassimo ad inserire delle serie a buffer, trasformeremmo le serie che lui considera a cedimento e sono un probabile rpe 8/7 in serie con un rpe 5/6, cosa che se andiamo a far saltare i sassi al lago in acqua lo sforzo è più intenso.

Il cedimento invece dovrà essere dosato quando ci si trova di fronte un soggetto diametralmente opposto al primo, il classico bro da palestra che tira ogni serie alla morte fregandosene altamente di svolgere un lavoro corretto pensando solo ai kg spostati.
In questo caso sarà opportuno limitare il grado di cedimento e costringerlo a delle serie a buffer o quantomeno vicine al buffer, così che possa ricercare un maggior carico interno ed allenare il muscolo oltre che l’ego.
Si potrebbe anche optare per inserire anche dei TUT più lunghi, in modo tale da costringerlo ad un lavoro muscolo centrico e limitare i carichi spostati in modo goliardico.

CONCLUSIONI

Il buffer non è superiore al cedimento muscolare come questo non lo è al buffer, ma sono entrambi due fattori che se utilizzati con cognizione di causa permettono di ottimizzare una programmazione.
Va sempre tenuto in considerazione il volume utilizzato e la scelta degli esercizi per valutare come e quale utilizzare, ma soprattutto che tipo di atleta ci si para di fronte, in quanto le modalità con cui questo si approccia ai pesi attribuiranno o meno una connotazione totalmente differente al programma da svolgere.
Quindi utilizzateli entrambi e trovate anche ciò che si presta meglio alle vostre esigenze, senza però aver paura di uscire dalla propria zona di confort.

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