Cedimento muscolare e buffer sono due componenti dell’allenamento molto importanti, che vedono spesso scontrarsi i sostenitori del “bro, spacco tutto, tira ogni fucking set”, con quelli del “no no, basta, sei andato oltre, non esagerare”.
Finito di sdrammatizzare….
Sono due fattori che si rivelano veramente utili se utilizzati con cognizione di causa e la presenza di uno non pregiudica la presenza dell’altro, al contrario, ma possono diventare un impedimento se inseriti senza una logica, andando dal rendere de allenante una seduta al renderla “troppo”.
Ma quale di questi è quello che risulta realmente utile?
Partiamo col capire meglio il concetto di buffer e cedimento per i meno avvezzi all’argomento, così da rendere tutto più chiaro:
-Buffer: stimolazione muscolare con riserva e senza esaurimento, ovvero, una serie non portata all’incapacità, quindi un set in cui ci fermeremo prima di arrivare al nostro reale limite fisico.
-Cedimento: serie protratta all’incapacità, ovvero, una serie in cui andremo avanti fino a che non ci sarà possibile eseguire altre ripetizioni.
Torneremo dopo sul cedimento, poiché, viste le molteplici tipologie di cedimento presenti, la risposta potrebbe essere in parte fuorviante, o considerata errata dei tecnici del settore, ma dovendo solo rendere l’idea di cosa sia, penso possa essere una definizione più che adeguata.
Dopo aver letto queste due definizioni qualcuno starà già storcendo il naso e pensando: “ma a cosa serve una serie se mi fermo prima del limite?”
Serve, anche perché, chi si starà ponendo questa domanda, forse non sa cosa significhi portare realmente a cedimento ogni serie, dato che, salvo con l’ausilio di volumi di allenamento bassi è pressoché impossibile protrarre ogni serie a cedimento, l’SNC (sistema nervoso centrale) ha un limite e dopo quel limite inizierà a farti percepire tutto molto più “duro/pesante” di quanto sia realmente, o, lo diventerà col tempo a forza di accumulare “stress su stress” di allenamento in allenamento, ritrovandosi poi cotti a puntino.
Vediamo di capire meglio come funziona il cedimento per far chiarezza.

CEDIMENTO
Prima di tutto vorrei dare delucidazioni riguardo l’affermazione riportata sopra, nella “definizione” di cedimento, andando ad elencarne tutte le tipologie presenti:
-CEDIMENTO TECNICO: Per cedimento tecnico si intende un set in cui l’ultima ripetizione risulta piuttosto ostica e rallentata rispetto alle altre, senza che però vi sia una perdita della forma e quindi risulti perfettamente sovrapponibile alla prima.
-CEDIMENTO CONCENTRICO: La serie in questo caso termina una volta raggiunta l’incapacità contrattile, ovvero: spingo fino a farmi uscire le emorroidi ma il peso non si sposta nemmeno se pago un trans per sodomizzarlo.
-CEDIMENTO STATICO: La serie termina una volta che, non solo non si riesce più a completare la fase eccentrica, bensì, quando anche cercando di mantenere una posizione statica non sono in grado di rimanere in quel punto del ROM.
-CEDIMENTO ECCENTRICO O MUSCOLARE: Questa è la forma di cedimento più elevata che ci sia, in questo caso la serie termina una volta che, non sono più in grado di portare a termine la fase concentrica del movimento ed anche provando a fermare il carico in un punto X questo continua a scendere e non sono minimamente in grado di oppormi a ciò.
Si tratta di un grado di cedimento veramente elevato da raggiungere e richiede un grande bagaglio di esperienza, oltre che due coglioni grossi come una casa.
Ecco, queste sono le quattro tipologie di cedimento presenti, tutte richiedono un enorme sforzo a livello neurale e vien da sé che applicarle su ogni set è impensabile, anzi, su alcuni esercizi non può, o meglio, non dovrebbero mai essere utilizzati!
Prendiamo ad esempio uno squat, prima di tutto, quanti sono in grado di portare a reale cedimento, anche solo concentrico, uno squat?
Pochi, quanti sono in grado di farlo senza sporcare la tecnica?
Forse due persone al mondo?
Ecco, questo, ma anche soltanto l’idea di portare tutte le serie di uno squat a cedimento fa capire quanto irreale possa risultare ciò su esercizi multiarticolari che presentano schemi motori così complessi.
Aggiungiamoci anche il fatto che il rischio di infortunarsi su esercizi come questi è elevato, vien da sé che l’ausilio del buffer in una situazione del genere sarebbe una scelta sicuramente migliore.
Soprattutto considerando che, l’atleta che ottiene più risultati è quello che non si infortuna, un uccello con un’ala spezzata ha poco da fare…
Quindi dobbiamo allenarci a buffer?
No, o meglio, non solo!
Allora cosa facciamo?
Vediamo ora come funziona il buffer e come ci si regola, così da avere un quadro più completo e poter tornare poi a disquisire su cosa e quando sia meglio.

BUFFER
Come già detto sopra, eseguire delle serie a buffer consiste nell’utilizzare un range di ripetizioni con un determinato carico che permetta di concludere la serie prima di raggiungere il cedimento.
Esistono varie tipologie di gestione del buffer, le più utilizzate nel bodybuilding sono quelle ad autoregolazione che arrivano dal mondo della pesistica, sempre presenti ma meno utilizzate nel nostro campo, anche quelle con lavori a percentuale.
Le più classiche che sfruttano l’autoregolazione sono la scala RPE o la scala RIR, entrambe molto simili tra loro, con una piccolissima differenza:
-RPE: scala di percezione dello sforzo che va da 1 a 10, in cui 10 corrisponde al cedimento, quindi al massimo sforzo e via via che si scende coi numeri ci si allontana sempre di più da questo.
È basata come scritto sull’autoregolazione, quindi l’atleta dovrà essere in grado di autogestirsi in maniera intelligente.
Si presuppone che venga utilizzata però su atleti con un ampio bagaglio di allenamento alle spalle, in quanto, un soggetto meno esperto tenderebbe a sopravvalutarsi o in caso contrario sottovalutarsi, cosa che comprometterebbe totalmente il senso del loro utilizzo.
Trattandosi però di una scala di percezione dello sforzo, non si potrà mai essere precisissimi e potrà portare a risultati differenti di volta in volta, magari capita il giorno in cui si è più stanchi e le ripetizioni a parità di RPE scenderanno o viceversa.
-RIR: scala basata sempre sulla percezione dello sforzo, che però va a stabilire quante ripetizioni di buffer lasciare, ad esempio RIR 1, implica che la serie termini con energia a sufficienza a chiudere ancora una ripetizione.
Questa non si discosta troppo dalla scala RPE ed i discorsi fatti sopra risultano quasi analoghi.
Queste sono le metodiche più utilizzate per la gestione del buffer, personalmente preferisco l’utilizzo della scala RPE per gestire il grado di intensità da esprimere.
Il buffer torna utile perché permette di allenarsi in sicurezza ed accumulare maggior lavoro causando minor stress a livello strutturale e mantenere una miglior tecnica, infatti è quasi un must in esercizi come lo squat in cui l’infortunio è dietro l’angolo.
Facciamo un esempio, vado ad eseguire una serie da 10 ripetizioni sulla chest press, raggiungo il cedimento e proseguo con delle forzate grazie agli spotter, dopo di che termino il set, ipotizziamo siano uscite 11/12 ripetizioni, la serie successiva sarà già tanto se ne andrò a concludere 5/6 e quella dopo 4/5.
Così avrò totalizzato 20 ripetizioni all’incirca, mentre, se avessi eseguito la prima serie da 9 ripetizioni, sarei probabilmente riuscito a chiudere anche le altre in quel reps range e avrei totalizzato 27 ripetizioni.
Quindi, maggior lavoro e minor stress a livello strutturale e sistemico, ottimo no?
Allora mi alleno sempre in buffer ed ho risolto ogni problema?
NO!
Anche questa non è la soluzione, anzi…
Vero che un lavoro del genere permette di accumulare maggior lavoro in sicurezza e che comunque le serie forniscono uno stimolo allenante, ma purtroppo è necessaria anche l’alta intensità, quindi serve anche raggiungere il cedimento muscolare.
Perché è vero che anche lavorando a buffer puoi reclutare tutte le fibre, ma sfinirle è un altro discorso.

CEDIMENTO E BUFFER DEVONO COESISTERE
Non è possibile lavorare solo a cedimento se non voglio farmi male, o stallare, o addirittura andare in over reaching dopo poco, come non mi è possibile lavorare solo a buffer ricercando miglioramenti costanti.
Cedimento e buffer sono due facce di una stessa medaglia che devono alternarsi ed aiutarsi nel raggiungimento dei vostri obiettivi.
Il buffer permette di accumulare lavoro in sicurezza fornendo comunque uno stimolo allenante, perché, che dir si voglia, arrivare in prossimità del cedimento muscolare rende una serie, anche se a buffer, comunque ostica.
Infatti, torniamo alla scala RPE, una serie di squat in RPE9 è percepita quasi come una serie protratta al cedimento, quando arrivi in un esercizio come questo a quelle ripetizioni che iniziano ad essere lente e ostiche sembrerà di essere arrivato al limite, anche se non è realmente così, altro motivo per cui è altamente sconsigliato applicare il cedimento su un esercizio come questo, se quelle risultano così ostiche figuriamoci se portate a reale cedimento.
Il cedimento invece è un’ottima arma per aumentare l’intensità riducendo anche il volume di una seduta e permette di sfinire tutte le fibre muscolari interessati, infatti, molto spesso i primi sets di un esercizio sono eseguiti in buffer e sono preparatori all’ultimo che è il vero e proprio set allenante.
Ovviamente quelli prima non servono solo a questo, ma bensì, generano un accumulo di lavoro non indifferente e che porta ipertrofia, permettendoci però di avere la massima resa nell’ultimo set.
Sono due fattori che vanno regolati anche il base al volume utilizzato, oltre che agli esercizi, in quanto, un allenamento a basso volume presenterà sicuramente un grado di intensità più elevato essendo minore lo stress che arreca a livello sistemico, al contrario, un programma ad alto volume presenterà molte più serie a buffer, in quanto, troppi sets portati a cedimento porterebbe a quello che viene chiamato “junk volume”, il cosiddetto volume spazzatura, quel volume che fai perché lo trovi scritto in scheda ma che di per sé risulta quasi inutile, in quanto, per la stanchezza accumulata, l’intensità espressa è sempre inferiore a quella richiesta.

QUANDO IL BUFFER E QUANDO IL CEDIMENTO SONO CONTROPRODUCENTI?
Bisogna sempre tenere in considerazione il soggetto che abbiamo di fronte quando decidiamo di utilizzare serie a cedimento o a buffer, perché la modalità con cui si approccia al carico potrebbe rendere, non solo inefficace, ma anche controproducente l’utilizzo dell’una o dell’altra metodologia.
Prendiamo per esempio un neofita o l’utente medio in sala pesi che termina la serie con un margine ampissimo prima di aver raggiunto un grado di fatica considerabile almeno allenante.
Applicare su un soggetto del genere delle serie a buffer, considerando che per codardia o pigrizia, questo eseguirà già le serie in buffer, porterà a dei sets non solo non allenanti, ma proprio deallenanti!
Esempio: Entra in sala pesi un ragazzo che già fin dall’inizio della seduta risulta svogliato e sembra faticare anche nel riscaldamento, verrà da sé che terminerà ogni serie appena percepisce del bruciore rimanendo però fresco come una rosa.
Ecco, se andassimo ad inserire delle serie a buffer, trasformeremmo le serie che lui considera a cedimento e sono un probabile rpe 8/7 in serie con un rpe 5/6, cosa che se andiamo a far saltare i sassi al lago in acqua lo sforzo è più intenso.
Il cedimento invece dovrà essere dosato quando ci si trova di fronte un soggetto diametralmente opposto al primo, il classico bro da palestra che tira ogni serie alla morte fregandosene altamente di svolgere un lavoro corretto pensando solo ai kg spostati.
In questo caso sarà opportuno limitare il grado di cedimento e costringerlo a delle serie a buffer o quantomeno vicine al buffer, così che possa ricercare un maggior carico interno ed allenare il muscolo oltre che l’ego.
Si potrebbe anche optare per inserire anche dei TUT più lunghi, in modo tale da costringerlo ad un lavoro muscolo centrico e limitare i carichi spostati in modo goliardico.

CONCLUSIONI
Il buffer non è superiore al cedimento muscolare come questo non lo è al buffer, ma sono entrambi due fattori che se utilizzati con cognizione di causa permettono di ottimizzare una programmazione.
Va sempre tenuto in considerazione il volume utilizzato e la scelta degli esercizi per valutare come e quale utilizzare, ma soprattutto che tipo di atleta ci si para di fronte, in quanto le modalità con cui questo si approccia ai pesi attribuiranno o meno una connotazione totalmente differente al programma da svolgere.
Quindi utilizzateli entrambi e trovate anche ciò che si presta meglio alle vostre esigenze, senza però aver paura di uscire dalla propria zona di confort.

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